Prendi la laurea e scappa

 

 Il tasso dei laureati italiani che emigrano stabilmente all’estero è oggi al 4,7 per cento ed è raddoppiato tra il 2011 e il 2015. Partono per trovare un lavoro più qualificato. Il problema è dunque la drammatica incapacità del nostro paese di creare opportunità di impiego di alto livello.

Dopo la laurea, l’estero

   Hanno fatto discutere le recenti affermazioni del ministro del Lavoro Giuliano Poletti sui giovani italiani che migrano all’estero. Il ministro ha infatti dichiarato di conoscere “gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata perché sicuramente il nostro paese non soffrirà a non averli più tra i piedi”. Poletti conosce forse qualche giovane emigrato che – a suo avviso – vale poco, ma le conoscenze aneddotiche non aiutano a stimolare un dibattito serio sulla questione.

   Una base di riflessione più solida è invece offerta dai dati Istat dell’indagine 2015 sui laureati italiani. In un nostro lavoro recente abbiamo ricostruito l’identikit di chi emigra e ne abbiamo confrontato gli esiti professionali con quelli di chi resta in Italia.
Anzitutto i dati Istat 2015 indicano che un laureato italiano su venti (4,7 per cento) risiede all’estero a quattro anni dalla laurea. Equivale a dire che ogni anno 14mila laureati migrano stabilmente all’estero (peraltro il dato è probabilmente sottostimato perché l’indagine Istat non raggiunge tutti i laureati che migrano).

   Ancora più eclatante è il fatto che il tasso di emigrazione all’estero è raddoppiato rispetto alla precedente indagine di quattro anni fa: dal 2,4 al 4,7 per cento. L’Europa continentale (soprattutto Germania e Francia), la Gran Bretagna e i paesi scandinavi sono le mete preferite, mentre la migrazione nel Sud o Est Europa e quella extra-europea restano minoritarie.

    I laureati che migrano provengono più spesso da università del Nord Italia e dalle lauree scientifiche, come matematica e fisica, da ingegneria e informatica oppure hanno una laurea in lingue o studi internazionali. Si sono diplomati più spesso in un liceo, hanno ottenuto più frequentemente un voto di 110 e lode e hanno più probabilità della media di aver frequentato programmi di scambio internazionale durante gli studi universitari (generalmente, l’Erasmus). Le differenze rispetto a chi resta non sono molto forti, ma nel complesso è difficile sostenere che il nostro paese esporti laureati di scarso valore di cui non si sentirà la mancanza.

Un lavoro migliore e redditi più alti

    Utilizzando la tecnica statistica del propensity score matching, abbiamo confrontato i redditi netti di chi emigra e di chi resta, aggiustati per il costo della vita nei paesi di destinazione. Ebbene, chi emigra guadagna il 36 per cento in più (dato in crescita rispetto al valore del 27 per cento registrato nel 2011). Non è solo una questione di redditi. I nostri modelli statistici indicano che chi emigra all’estero svolge più spesso lavori più qualificati (+6,8 per cento) e percepisce di avere migliori opportunità di carriera (+21 per cento).

    È possibile che i differenziali non discendano solo dalla scelta di migrare: ad esempio chi emigra potrebbe essere mediamente più capace e motivato di chi resta (un’ipotesi che forse sorprenderà il ministro Poletti ma che è spesso menzionata in letteratura). La pur lunga lista di variabili di controllo dei nostri modelli sulla carriera scolastica e universitaria potrebbe non catturare pienamente queste differenze. Tuttavia ci sembra molto probabile che le differenze riflettano, in misura rilevante, anche le differenti opportunità di realizzazione professionale che vengono offerte a chi decide di spendere la propria laurea in un altro paese, al confronto con chi resta in Italia. Del resto, nove laureati emigrati su dieci (89,6 per cento) dichiarano di essere partiti proprio per trovare lavori più qualificati.

    Ci pare, insomma, che i dati raccontino qualcosa di significativo sulla drammatica incapacità del nostro paese di creare opportunità di lavoro qualificato, un problema che ci auguriamo appassioni il ministro del Lavoro almeno quanto i giudizi sul valore di chi abbandona il nostro paese.

Giulia Assirelli, Carlo Barone e Ettore Recchi -- laVoce.info

Print Email