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Non è un’Eurozona per giovani

L’aumento della disoccupazione giovanile determinato dalla crisi negli Stati del Sud Europa è stato drammatico. Restare disoccupati a lungo può rendere difficile la ricollocazione, anche per i cambiamenti nella struttura produttiva dei paesi. La bolla immobiliare e i lavoratori a bassa istruzione.

 

 

GIOVANI DISOCCUPATI PER AREE DELL’EUROZONA

L’ovvio corollario della debolezza economica europea è un tasso di disoccupazione elevato, cresciuto dal 7,5 per cento del 2007 al 12 per cento nel 2013, e che non accenna a scendere (è stimato intorno all’11,6 per cento per il 2014).
Ma se la disoccupazione totale è aumentata, quella giovanile è letteralmente esplosa. Il tasso di disoccupazione tra i giovani di 25 anni o meno è cresciuto dal 15 per cento a circa il 25 per cento tra il 2007 e il 2013. La figura 1 mostra il dato di disoccupazione giovanile aggregato (linea nera) a confronto con lo stesso dato calcolato per tre sotto-gruppi: Nord (qui formato da Germania, Austria, Finlandia e Paesi Bassi), Sud (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia) e un ipotetico Centro intermedio (qui Francia e Spagna). Ne emerge chiaramente l’impressionante divergenza interna all’area euro.

 

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Fonte: Eurostat;

Nota: North = Germania, Paesi Bassi, Austria, Finlandia; Centre = Francia; Belgio; South = Grecia; Irlanda; Spagna; Portogallo; Italia

Dopo essere aumentato lievemente nel 2009, il tasso di disoccupazione giovanile nei paesi del Nord è oggi agli stessi livelli del 2000. Nel nostro ipotetico Centro, la disoccupazione giovanile è aumentata rispetto ai livelli pre-crisi, ma in maniera relativamente moderata, passando da un po’ meno del 20 per cento nel 2007 al 25 per cento nel 2013. Nel Sud, l’aumento è stato drammatico: il tasso di disoccupazione giovanile – che prima della crisi stava diminuendo, seppure molto lentamente – è saltato a quota 45 per cento nel 2013. E le cose peggiorano se, all’interno del gruppo, si guarda a livello di singoli paesi, dove la disoccupazione giovanile raggiunge tassi anche del 58 per cento in Grecia e 55 per cento in Spagna.

 

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Fonte: Eurostat;

Nota: North = Germania, Paesi Bassi, Austria, Finlandia; Centre = Francia; Belgio; South = Grecia; Irlanda; Spagna; Portogallo; Italia

 

I RISCHI DI LUNGO PERIODO

Nel Sud dell’area euro, la disoccupazione giovanile non solo è aumentata, ma è diventata più persistente. La percentuale di coloro che sono stati disoccupati per più di un anno è cresciuta molto nel corso della crisi e tutta la distribuzione nel Sud dell’Eurozona si è spostata su periodi di disoccupazione più lunghi. Se nel 2007 i disoccupati per più di un anno erano il 25 per cento del totale, nel 2013 avevano raggiunto il 45 per cento. La percentuale di giovani disoccupati per periodi più brevi (in particolare per meno di un mese o per uno-tre mesi) si è invece drasticamente ridotta.

 

Questo è particolarmente preoccupante perché i lavoratori che perdono il loro lavoro durante una recessione possono rimanere disoccupati tanto a lungo che le loroskillsdiventano obsolete.Studicondotti recentemente sul mercato del lavoro americano suggeriscono che rimanerne fuori per troppo tempo ha un effetto di segnalazione avversa e riduce le probabilità di essere rioccupati, poiché a parità di esperienza i datori di lavoro tendono a preferire sistematicamente chi è stato disoccupato per meno tempo. Questo fattore potrebbe essere ancora più rilevante per i lavoratori giovani con poca esperienza, per cui il rischio che una parte rilevante della disoccupazione giovanile attuale diventi strutturale non è da sottovalutare.

 

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Fonte: Eurostat;

Nota: North = Germania, Paesi Bassi, Austria, Finlandia; Centre = Francia; Belgio; South = Grecia; Irlanda; Spagna; Portogallo; Italia

 

Inoltre, una parte dei disoccupati nei paesi del Sud potrebbe non essere più facilmente ri-occupabile, a causa del cambiamento nella struttura produttiva indotta dalla crisi.
La disoccupazione è aumentata molto nei paesi del Sud, a tutti i livelli d’istruzione, seppure molto di più tra i lavoratori con istruzione più bassa. Ma la cosa interessante da notare è che, prima della crisi, il tasso di disoccupazione tra i lavoratori con livelli d’istruzione base era molto più basso nel Sud che nel Nord e nel Centro. Questo potrebbe riflettere il boom pre-crisi di settori tradizionalmenteunskilled, come quello delle costruzioni. L’economista spagnolo Luis Garicano, per esempio, ha mostrato l’esistenza di una distorsione nelle decisioni d’investimento in capitale umano dei giovani spagnoli prima della crisi, legato al boom del settore immobiliare. Essendo molto più facile e conveniente trovare un lavoro in questo settore surriscaldato, la Spagna ha visto un aumento del tasso di abbandono dell’istruzione superiore (cosa molto rara in un paese sviluppato). Ed è proprio in Spagna, Grecia e Irlanda, dove la bolla immobiliare pre-crisi è stata più pronunciata, che il tasso di disoccupazione è aumentato maggiormente tra i lavoratori con istruzione bassa. Ma essendo legata allo scoppio della bolla immobiliare, che difficilmente e poco auspicabilmente si ripeterà a breve, parte di questa disoccupazione potrebbe essere difficile da riassorbire anche quando il ciclo economico migliorerà.

 

Lo scenario, quindi, è piuttosto nero. Recentemente si è discusso parecchio della possibilità di creare uno schema europeo di assicurazione contro la disoccupazione (unemployment insurance). Se un meccanismo di compensazione simile fosse stato messo in piedi prima della crisi, forse avrebbe potuto aiutare a mitigarne gli effetti sul mercato del lavoro dei paesi del Sud. Ma ormai è tardi, e le differenze indotte dalla crisi rendono politicamente inattuabile uno schema di questo tipo perché nel contesto attuale si caratterizzerebbe come un enorme trasferimento tra paesi a bassa disoccupazione verso paesi ad alta disoccupazione. Anche un rafforzamento delle politiche attive sul mercato del lavoro (Active Labour Market Policies) potrebbe aiutare, ma la platea di interessati è talmente ampia nei paesi ad alta disoccupazione che i costi sarebbero insostenibili: l’investimento dei paesi dell’Eurozona in questo tipo di strumenti è già limitato, e i vincoli fiscali di certo non ne faciliteranno un aumento, almeno nell’immediato futuro.

 

Trovare una via d’uscita da questo circolo vizioso non è facile, ma è prioritario, prima che troppi siano portati a concludere che l’Eurozona non è un paese per giovani.

 

—— Silvia Merler/La Voce.info

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