L’Italia è il paese europeo che rilascia meno permessi per motivi di lavoro. Al contrario, sarebbe necessaria una programmazione a lungo termine, con flussi legati alle esigenze del mercato e con un efficace sistema di selezione degli arrivi.

 

Il crollo degli ingressi per lavoro

   Nell’ultimo anno, in Italia, sono stati rilasciati meno di 14 mila permessi per lavoro, appena l’1,2 per cento del totale europeo (0,23 ogni mille abitanti). Presi dalla lotta agli sbarchi, ci siamo dimenticati dell’“altra” immigrazione, quella che serve all’economia. Mentre è proprio uno dei paesi “cattivi”, la Polonia, che più apre le porte ai migranti economici: quasi 600 mila nel 2018.

   Nel 2018, in totale, i permessi rilasciati dall’Italia (primo rilascio a cittadini non comunitari) sono stati 239 mila, a cui si aggiungono gli arrivi di cittadini comunitari, per i quali vale la libera circolazione. Tuttavia, tra il 2011 e il 2017, gli occupati comunitari sono aumentati solo di 60 mila unità, segno che quel flusso si va esaurendo, dopo il picco massimo con gli allargamenti dell’Ue del 2004 e 2007.

   Se si guarda la serie storica, fino al 2010 i nuovi permessi erano oltre 500 mila all’anno, per poi subire un drastico calo dal 2011 a seguito della riduzione dei “decreti flussi”. Peraltro, neanche prima esisteva una vera e propria “programmazione”, dato che i flussi erano determinati principalmente dalle cosiddette “sanatorie”, ovvero regolarizzazioni “a posteriori”.

   In ogni caso, fino al 2010 la prima componente dei permessi rilasciati era quella per motivi di lavoro (oltre 350 mila). Negli ultimi anni sono invece cresciuti gli “altri motivi”, soprattutto i motivi umanitari, senza comunque mai superare di molto quota 100 mila. I permessi rilasciati per ricongiungimento familiare sono rimasti sostanzialmente costanti, ma a partire dal 2011 sono diventati la prima voce.

   Non è tutto: tra i 13.877 permessi rilasciati nel 2018 per motivi di lavoro, il 40,5 per cento è costituito da lavoratori stagionali e solo il 10,6 per cento è dato da mansioni altamente qualificate (ricercatori, lavoratori altamente qualificati, Blue card).

 

Figura 1 – Permessi di soggiorno rilasciati in Italia per motivo del permesso* (2009-2018)

* “Altri motivi” include: studio, rifugiati e protezione sussidiaria, motivi umanitari, minori non accompagnati, vittime di tratta, altro non specificato
Fonte: Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Eurostat

 

Gli ingressi per lavoro in Europa

   Su 3,2 milioni di permessi rilasciati in Europa nel 2018, un quinto è in capo alla Polonia (683 mila). Seguono Germania (544 mila) e Regno Unito (451 mila), mentre l’Italia si colloca in sesta posizione. In Polonia, quasi il 90 per cento dei nuovi permessi è rilasciato per lavoro. L’Italia, invece, è solo in quattordicesima posizione per numero di permessi per lavoro (13.877): tra questi, 4 su 10 sono stagionali e solo 1 su 10 è altamente qualificato.

   In relazione alla popolazione residente, poi, i 13.877 permessi per lavoro dell’Italia equivalgono ad appena 0,23 ingressi ogni mille abitanti: maglia nera europea. In doppia cifra, invece, Malta (21,40 permessi ogni mille abitanti), Polonia (15,72), Cipro (11,31) e Slovenia (10,17).

 

Figura 2 – Primi permessi per lavoro nei paesi Ue ogni mille abitanti (2018)

Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Eurostat (* dati 2017)

 

Perché converrebbe riaprire i flussi legali

   L’analisi dei permessi di soggiorno consente di evidenziare alcuni aspetti, poco presenti nel dibattito quotidiano.

   In primo luogo, nonostante il clamore mediatico sugli sbarchi, oggi in Italia arrivano molti meno immigrati rispetto a dieci anni fa, quando i permessi rilasciati erano più di 500 mila l’anno. L’ultimo decreto flussi di portata significativa risale al febbraio 2011 (con Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi e Roberto Maroni al Viminale), con quasi 100 mila ingressi autorizzati per lavoratori non stagionali.

   Nel resto d’Europa, invece, gli ingressi per lavoro continuano. E proprio i paesi di Visegrad sono tra i più attivi nell’attrarre migranti economici: Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, che in termini di popolazione incidono per il 13 per cento sul totale Ue, nel 2018 hanno rilasciato il 60 per cento di tutti i permessi di soggiorno europei per motivi di lavoro, consentendo l’ingresso a quasi 700 mila cittadini non comunitari.

   L’Italia, in materia di politiche migratorie, sembra aver smarrito la strada della programmazione, concentrandosi sulla lotta ai barconi (e alle Ong che li soccorrono) e sulla gestione di un sistema di accoglienza problematico per svariate ragioni (sono sotto gli occhi di tutti i lunghi tempi di attesa, i casi di sovraffollamento, gli scarsi risultati in termini di integrazione e di qualità media dei servizi offerti).

   La riapertura dei canali d’ingresso legali, invece, porterebbe un contributo essenziale al sistema produttivo e alle casse pubbliche, sotto forma di gettito fiscale e contributi previdenziali, in un contesto di natalità ai minimi storici e invecchiamento della popolazione.

   Nei giorni scorsi, ad esempio, Confagricoltura Veneto ha denunciato l’esiguità delle quote d’ingresso di lavoratori stagionali. Secondo gli imprenditori agricoli, questa carenza “rischia di favorire il lavoro illegale”, mentre “ci sono decine di migliaia di residenti nelle liste di collocamento ma hanno scarsa disponibilità ad effettuare lavoro di manodopera nei nostri campi”. In sostanza: gli italiani non fanno i braccianti, gli stranieri che vorrebbero farlo non possono entrare, e così si alimentano irregolarità e sfruttamento.

   Inoltre, secondo lo studio Excelsior di Unioncamere, “tra il 2019 e il 2023 il mercato del lavoro italiano avrà bisogno di un numero di occupati compreso tra i 2,5 e i 3,2 milioni”, di cui almeno il 12 per cento sarà costituito da professioni non qualificate. E almeno il 17 per cento sarà assorbito da manifattura ed edilizia, comparti caratterizzati da forte presenza straniera.

   Il canale legale avrebbe anche un altro effetto, forse non trascurabile: offrirebbe un’alternativa (molto più sicura e controllabile) alle traversate del Mediterraneo. Se è vero che tra i richiedenti asilo vi è una grossa percentuale di “falsi profughi”, l’apertura di canali legali per lavoro potrebbe essere una soluzione.

   In definitiva, occorrerebbe passare dalla gestione in emergenza (che ha caratterizzato l’ultimo decennio) a una programmazione mirata e a lungo raggio, con flussi legati alle esigenze del mercato e con un efficace sistema di selezione degli arrivi. Questa, sì, sarebbe una politica che potrebbe aiutare ad aprire quella “nuova stagione” evocata da Giuseppe Conte nella sua dichiarazione dopo aver ricevuto l’incarico di formare un nuovo governo.

Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini e Chiara Tronchin -- LaVoce.info

 

   Se si guarda alla miseria economica dell'Italia, alcuni problemi sono comunemente considerati la causa: la terribile burocrazia, le infrastrutture trascurate, l'eccessivo debito pubblico. Ma c'è un'altra causa generalmente trascurata: la casalinga italiana. 

   E' considerata una cuoca favolosa, una madre amorevole, una moglie fedele - è l'anima dell'italianità, tutto ciò che rende l'Italia così simpatica.  Ma purtroppo lei è un problema centrale - forse anche il peggiore - dell'economia italiana. 

   Dopo molti anni di progresso, la percentuale di donne italiane che esercitano un'attività lucrativa ha raggiunto quasi il 40 per cento (2018). Questo significa: il 60 percento sono casalinghe, solo casalinghe, nient'altro, se non si trovano in istruzione. Secondo le ultime statistiche della Banca mondiale, questa è la cifra peggiore d'Europa; solo la Bosnia-Erzegovina, con il 36 per cento delle donne occupate, è peggiore.  Anche in Grecia (45 %) più donne lavorano fuori casa.  In Germania il dato è del 55 per cento, in Svizzera del 63 per cento e in Scandinavia oltre il 70 per cento.  La vecchia Germania dell'est avrebbe tenuto la palma con oltre l'80 per cento, mentre lo Yemen occupa la posizione più bassa con il 6 per cento delle donne che lavorano fuori casa. 

      La triste posizione dell'Italia ci ricorda quanto sia orientale lo stile di vita italiano, senza le restrizioni della religione (per lo più islamica) che domina il Levante.  Nel 1994, il tasso di occupazione femminile in Italia, pari al 34 per cento, non era superiore a quello attuale del Bangladesh (35 per cento).  Non sorprende che i vicini arabi dell'altra sponda del Mediterraneo abbiano tassi compresi tra il 10 e meno del 30 per cento.  Ma è sorprendente che l'Italia, con il 40%, sia così al di sotto della media OCSE del 52%. 

      Nei sondaggi sui rifugiati le donne arabe a volte non capiscono cosa si intende quando viene chiesto loro professione e formazione. Un fatto che è culturalmente spiegabile.  Ma il fatto che milioni di donne italiane non sono né in istruzione né in cerca di lavoro (NEETS), ma stanno sprecando il loro tempo alla ricerca di un marito adeguato o in famiglia, significa un danno enorme per l'economia. 

   In un paese industriale sviluppato, nel XXI secolo non c'è più alcun motivo per restare a casa propria.   Nel paese della più bassa natalità d'Europa, ci sono solo uno o al massimo due bambini per famiglia da accudire.  I lavori domestici sono facilitati da una abbondanza di elettrodomestici; sempre più cibi pronti arrivano congelati o freschi dalle fabbriche, o comprati alla rosticceria dietro l'angolo.

    Il problema di molte casalinghe è quindi la sottoccupazione, soprattutto quando il bambino o i bambini crescono.  Ma nessuno sospetta che le madri siano da rimproverare per l'esistenza dei bamboccioni, i figli che restano con la mamma fino all'età avanzata. Il culto della madre cattolico e italiano, il mammismo, proibisce tali sospetti.

   Tra l'altro, la percentuale di donne che lavorano fuori casa diminuisce linearmente dal nord al sud Italia, nella misura che le abitudini orientali si rafforzano.

   Se l'Italia vuole mobilitare le sue enormi riserve del mercato del lavoro, deve trovare un modo di cacciare le casalinghe sottoutilizzate dai loro nascondigli.  Ciò richiede una campagna che dipinga  la vita di una casalinga come socialmente inferiore; una campagna che renda chiaro (alle donne del sud Italia in particolare) che oggi come oggi ognuno dovrebbe guadagnarsi da vivere, anche se solo per ottenere una pensione di vecchiaia. 

   C'è abbastanza lavoro in Italia, lo dimostrano i milioni di lavoratori stranieri nel paese; bisogna solo essere pronti ad accettare anche lavori considerati sgradevoli.  Milioni di donne del nord Italia dimostrano ciò che si può ottenere con una formazione adeguata; le loro controparti maschili e femminili del sud possono imparare da essa. 

   Il bisogno principale: uscire di casa!

Benedikt Brenner

Update

Oggi,  nelle ciacchiere al bar, ogni tanto si dice che i giovani in cerca di lavoro si rivolgono sempre più spesso a mestieri tradizionali che un tempo evitavano: l'agricoltura e l'artigianato. Si godrebbero la natura, l'originale, e si divertirebbero a lavorare con il legno, il metallo o gli animali.

Una bella leggenda, scaldacuori. I fatti, comunque, sembrano diversi. Come riferisce il Ministero dell'Istruzione e della Ricerca (MIUR), negli ultimi sedici anni il numero di studenti di formazione professionale si è dimezzato. Continua la richiesta di istruzione superiore: negli ultimi cinque anni (fino al 2019/20) la percentuale di diplomati di terza media che preferisce il ginnasio è passata dal 51 al 55 per cento.  La percentuale di scuole tecniche (commercio, tecnologia, turismo) è rimasta abbastanza costante, mentre la percentuale che frequenta le scuole professionali è scesa dal 19 al 14 per cento.

Poiché la metà dei giovani sono ragazze, si può supporre (i dati non sono disaggregati per genere) che le giovani donne aspirano prevalentemente all'istruzione classica, ma non alle qualifiche professionali.   

 

Update

Dal rapporto OCSE "Education at a glance 2019"

"L'Italia e la Colombia sono gli unici due Paesi con tassi superiori al 10% per le due categorie (inattivi e disoccupati) tra i 18-24enni. Circa l’11% dei 15-19enni sono Neet, ma questa quota triplica per i
20-24enni, raggiungendo il 29% per le donne e il 28% per gli uomini nella classe d’età in cui inizia la transizione verso l’istruzione terziaria e il mercato del lavoro. Sebbene il livello d’istruzione sia più alto tra le donne, il tasso di giovani Neet aumenta fino al 37% per le donne di età compresa tra i 25 e i 29 anni e scende al 26% per gli uomini della stessa coorte. (La Repubblica, 10/9/19)

(my emphasis, ed)

 

Update 2

Disuguaglianze di genere, il reddito medio delle donne è il 59,5% di quello degli uomini 

 "In Europa l'Italia è l'ultimo Paese per il lavoro femminile"

  (Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria all'Economia)

 

 

   Während derzeit die Einschulung von Migrantenkindern mit geringen Deutsch-Kenntnissen in Deutschland kontrovers diskutiert wird, fehlt der Blick auf die langfristigen Aspekte der "Eindeutschung" eben dieser Kinder.

   In den USA gibt es Staaten, in denen das Vorrecht des Englischen als allgemein-gültige Sprache angesichts des rasch vordringenden Spanischen umkämpft ist. Zweisprachige Ausschilderung nicht nur von Flughäfen und Autobus-Bahnhöfen ist vielerorts seit Jahren die Regel.

   Nicht so in Deutschland. Mülltonnenbeschriftung in deutsch und türkisch, wie in Berlin, ergibt noch lange keine Zweisprachigkeit. Die Vielsprachigkeit der Zuwanderer -- von russisch bis Urdu und Haussa - beschert der deutschen Sprache die angenehme Rolle des gemeinsamen Nenners, die das Englische in Amerika allen Verfechtern einer schwindenden weissen Vorherrschaft zum Trotz allmählich einbüsst.

   Auch wenn auf Schulhöfen im Ruhrgebiet und in Berlin oft mehr türkisch und arabisch als deutsch zu hören ist: am Deutschen führt kein Weg vorbei.

   Die Mehrsprachigkeit der Grundschulklassen verdeutlicht allen Kindern zunächst, dass es mehr als nur eine Sprache gibt, in der man sich verständigen kann. Nicht nur Migrantenkinder lernen deutsch -- auch deutsche Kinder und Lehrer1) lernen zumindest Brocken in ein oder zwei fremden Sprachen. Ein paar Begriffe und Grüsse in türkisch und arablsch verstehen heutzutage wohl die meisten jungen deutschsprachigen Berliner, selbst wenn sie in Dahlem oder Reinickendorf aufgewachsen sind.

   Wer aber am meisten profitiert, sind die Migrantenkinder, so sie nicht aktiven Widerstand gegen die Zwangsbeschulung und Zwangseindeutschung leisten, weil ihr Lebensweg im Clan bequem vorgezeichnet ist und Schulabschlüsse und Deutschkenntnisse dabei unnötig sind.

   Für die nicht-clanverhafteten Kinder bietet das Erlernen einer Zweitsprache -- deutsch -- eine riesige Chance. Die intellektuelle Auseinandersetzung mit zwei verschiedenen Kulturkreisen stimuliert und bereichert.

   Mit zwei Sprachen und zwei kulturellen Grundlagen ins Berufsleben zu starten bedeutet einen Vorsprung gegenüber den einsprachigen Konkurrenten. Wer zwei Sprachen voll beherrscht, tut sich erfahrungsgemäss leichter, eine dritte Sprache -- etwa englisch -- zu erlernen. Drei Sprachen sind im Arbeitsmarkt schon eine kleine Berufsausbildung wert: ein Vorteil, mit dem Migantenkinder Nachteile kompensieren können, denen sie oft begegnen: einen fremdartigen Namen, eine wenig beliebte Religion, eine dunkle Hautfarbe, eine Adresse in einem Armenviertel.

   Während deutsche Landbewohner, die in der Dialektkultur leben und hochdeutsch nur in der Schule lernen, sich in Grosstädten bei der Jobsuche schwer tun, kann ein Migrantenkind mit akzentfreiem hochdeutsch punkten. Zweisprachigkeit schärft das Sprachbewusstsein und hilft, sprachliche Fehler zu eliminieren.

   Gerade Europa mit seiner Vielsprachigkeit und seiner immer beweglicher werdenden Bevölkerung, die gerne aus einer Vielzahl von Gründen den Wohnort und das Land wechselt, prämiiert die Mehrsprachigkeit und die damit verbundene kulturelle Flexibilität.

   Ein Haussa-sprechender, dunkelhäutiger Deutscher mit guter Ausbildung wäre ein gesuchter Kandidat für den diplomatischen Dienst ebenso wie als Vertreter der Wirtschaft in West- und Zentralafrika. Oder als hoch geehrter Vertreter des Ursprungslandes seiner Familie in Deutschland.

   Wenn es gut eingedeutschten Migrantenkindern gelingt, die Handicaps der Migration zu überwinden. so stehen ihnen mehr Türen offen als gleichaltrigen, ähnlich situierten einheimischen Kindern. Der Weg zur Elite-Bildung bietet sich.

   Dank Migration wird die deutsche Elite bunter werden und davon profitieren.

Heinrich von Loesch

1)

An der Mailänder Trotter-Schule lernen auch sieben ägyptische Kinder, ven denen zwei erst neu angekommen sind. Um die Kommunikation der Neuen mit den Lehrern zu verbessern, haben die perfekt zweisprachigen anderen ägyptischen Kinder ein Vokabularium in arabisch und italienisch geschrieben und lehren die Lehrerin Grundlagen in arabisch. 

trotter

 

 

 

 


   Wenn man Italiens wirtschaftliche Misere betrachtet, gelten ein paar Probleme landläufig als Ursache: die schreckliche Bürokratie, die vernachlässigte Infrastruktur, die überbordende Staatsverschuldung. Doch es gibt noch eine andere Ursache, die gemeinhin übersehen wird: die italienische Hausfrau. 

   Sie gilt als fabelhafte Köchin, liebende Mutter, treusorgende Gattin -- sie ist die Seele der Italianità, all dessen, was Italien so liebenswert macht.  Aber leider stellt sie ein Kernproblem -- vielleicht sogar das schlimmste -- der italienischen Wirtschaft dar. 

   Nach vielen Jahren des Aufstiegs hat der Anteil der Erwerbstätigen unter den Italienerinnen knapp 40 Prozent (2018) erreicht. Das bedeutet: Sechzig Prozent sind Hausfrauen -- nur Hausfrauen, nichts anderes. Das ist gemäss letzter Weltbankstatistik Europas schlechtester Wert, nur Bosnien-Herzegovina schneidet mit 36 Prozent beschäftigten Frauen noch schlechter ab.  Selbst in Griechenland arbeiten (45 %) mehr Frauen ausser Haus.  In Deutschland sind es 55 Prozent; in der Schweiz kommt man auf 63 Prozent und In Skandinavien schon mal über 70 Prozent.  Die Palme hielt angeblich die DDR mit über 80 Prozent, während die Kellerposition der Jemen einnimmt mit 6 Prozent ausser Haus tätiger Frauen. 

      Italiens klägliche Position gemahnt daran, wieviel Orientalisches in der italienischen Lebensweise steckt, ganz ohne die Einschränkungen der (meist islamischen) Religion, die in der Levante dominiert.  Noch 1994 lag Italiens weibliche Beschäftigungsquote mit 34 Prozent nicht höher als die von Bangladesch heute (35 %).  Dass die arabischen Nachbarn jenseits des Mittelmeers Quoten im Bereich zwischen 10 und unter 30 Prozent aufweisen, erstaunt nicht.  Dass aber Italien mit seinen 40 Prozent so weit unter dem OECD-Durschschnitt von 52 Prozent liegt, verblüfft. 

   Dass bei Flüchtlingsbefragungen arabische Frauen mitunter garnicht verstehen was gemeint ist, wenn man sie nach Beruf und Ausbildung fragt, ist kulturell erklärlich.  Dass aber Millionen Italienerinnen weder in Ausbildung sind, noch Arbeit suchen (NEETS), sondern ihre Zeit auf die Suche nach einem geeigneten Gespons oder im Haushalt vergeuden, bedeutet einen gewaltigen Schaden für die Volkswirtschaft. 

   In einem entwickelten Industrieland gibt es im 21. Jahrhundert keinen Grund mehr, zuhause zu sitzen.  Kinder, um die man sich kümmern müsste, gibt es im geburtenärmsten Land Europas nur einzeln oder höchstens zu zweit.  Die Hausarbeit wird von einer Schar von Geräten vereinfacht; mehr und mehr Fertignahrung wird von Fabriken gefroren oder frisch geliefert, oder aus der Pizzeria um die Ecke geholt.

   Das Problem vieler Nur-Hausfrauen ist daher die Unterbeschäftigung, die Arbeitslosigkeit, vor allem wenn das Kind oder die Kinder gross werden.  Aber niemand verdächtigt die Mütter, schuld an den bamboccioni zu sein, den Sprösslingen, die bis ins fortgeschrittene Alter bei der mamma wohnen bleiben. Der italienisch-katholische Mutterkult, der mammismo, verbietet solche Verdächtigungen. Übrigens nimmt der Anteil der ausser Haus tätigen Frauen von Nord- nach Süditalien linear ab in dem Masse, in dem sich die orientalischen Gewohnheiten verstärken.

   Will und muss Italien seine übergrossen Arbeitsmarktreserven mobilisieren, so muss es Wege finden, die nicht ausgelasteten Hausfrauen aus ihren Verstecken zu scheuchen.  Dazu ist eine Kampagne notwendig, die das blosse Hausfrauendasein als sozial niederwertig darstellt; die vor allem den Süditalienerinnen klarmacht, dass Jeder heutzutage seine Brötchen selbst verdienen sollte, und sei es auch nur, um sich eine Altersversorgung zu erarbeiten. 

   Arbeit gibt es genug, die Millionen ausländischer Arbeitskräfte im Lande zeigen es;  man muss nur bereit sein, auch unangenehme Jobs anzunehmen.  Millionen Frauen in Norditalien beweisen, was mit zweckmässiger Ausbildung erreicht werden kann; ihre Geschlechtsgenossinnen im Süden können davon lernen. 

   Hauptsache: raus aus dem Haus!

Benedikt Brenner

Update

 

Gerne wird heute in Bargesprächen erzählt, die vergeblich Arbeit suchenden jungen Menschen wendeten sich verstärkt traditionellen Berufen zu, die sie früher vermieden: Landwirtschaft und Handwerk. Sie fänden Freude an der Natur, dem Ursprünglichen, und hätten Spass am Umgang mit Holz, Metall und Tieren.

Eine nette Legende, herzerwärmend. Die Fakten sehen anders aus. Wie das Ministerium für Unterricht und Forschung in Rom berichtet, ist die Zahl der Berufsschüler in den vergangenen sechzehn Jahren um die Hälfte zurückgegangen. Der Drang zur höheren Bildung hält an: im letzten Jahrfünft (bis 2019/20) stieg beiAbsolventen der Mittleren Reife der Anteil der Gymnasien von 51 auf 55 Prozent.  Der Anteil der Realschulen (Wirtschaft, Technik, Tourismus) blieb ziemlich konstant, während der Anteil der Berufsschulen noch einmal von 19 auf 14 Prozent zurückging.

Nachdem die Hälfte (oder mehr) der Mittlere Reife-Absolventen Frauen sind, kann man vermuten (die Daten sind nicht nach Geschlecht aufgeschlüsselt), dass junge Frauen überwiegend  nach klassischer Bildung streben, nicht aber nach berufsbezogener Qualifikation.   

 

Update II

Aus dem OECD-Bericht "Bildung auf einen Blick 2019".

"Italien und Kolumbien sind die einzigen beiden Länder mit über 10% für die beiden Kategorien (Nichterwerbstätige und Arbeitslose) unter den 18- bis 24-Jährigen. Etwa 11% der 15- bis 19-Jährigen sind Neet, aber dieser Anteil verdreifacht sich für dieAltersgruppe der 20- bis 24-Jährigen, bei 29% für Frauen und 28% für Männer in dieser Altersgruppe, in der der Übergang zum Hochschulbereich und zum Arbeitsmarkt beginnt. Obwohl das Bildungsniveau bei Frauen höher ist, steigt der Anteil der jungen Neet auf 37% für Frauen im Alter von 25-29 Jahren und sinkt auf 26% für Männer in derselben Kohorte." (La Repubblica, 10/9/19)

(my emphasis, ed.)

 

 

Update 2

Disuguaglianze di genere, il reddito medio delle donne è il 59,5% di quello degli uomini 

 "In Europa l'Italia è l'ultimo Paese per il lavoro femminile"

Ungleichheit zwischen den Geschlechtern: das Durchschnittseinkommen von Frauen beträgt 59,5% des Einkommens von Männern.

"In Europa ist Italien das letzte Land für Frauenarbeit."

  (Maria Cecilia Guerra, Staatssekretärin für Wirtschaft)

Gerne