La romana Acea condivide gli stessi problemi di tante altre imprese italiane simili: un azionista pubblico e la retorica secondo la quale l’acqua deve costare poco. Il razionamento idrico di Roma è il fallimento dell’acqua pubblica in questo paese.

Non è solo una storia romana

   Anche se non piove, non c’è nessuna ragione per la quale Roma dovrebbe rimanere a secco. Una città previdente mette in atto tutte le misure per evitare eventi estremi del genere. E invece no.

   Ci sono tante chiavi di lettura per questo ennesimo episodio di cattiva gestione della cosa pubblica nel nostro paese. La prima è pensare che sia una storia romana, legata all’incapacità degli amministratori della capitale (quelli di adesso, ma non solo – cose del genere non succedono dall’oggi al domani) di gestire i servizi fondamentali per la città, quali rifiuti, trasporti, acqua. Tre emergenze parallele con storie diverse, ma un unico triste punto di arrivo.

   Ma, appunto, sono storie diverse. Mentre rifiuti e trasporti sono servizi che a Roma sono tremendamente politicizzati, con clientelismo esteso e una inefficienza sconcertante, quella di Acea è un’altra questione. La multiutility non è come le altre municipalizzate, è una impresa “normale” nel panorama nazionale. Certo, le responsabilità politiche restano e l’attuale sindaco, a oltre un anno dal suo insediamento, non può gettare la colpa solo sui suoi predecessori. E ha sicuramente capito che l’idea che a pochi mesi dal suo arrivo le cose si sarebbero miracolosamente risolte non era proprio fondata.

Il problema degli azionisti pubblici

   Ma non è solo una storia romana. E Acea non è sicuramente peggio di tante altre imprese pubbliche italiane. Ma sconta la stessa tara di origine, ossia la combinazione di un azionista pubblico e della retorica secondo la quale l’acqua deve costare poco. Il razionamento idrico di Roma è il fallimento dell’acqua pubblica in questo paese.

   Da anni – quanto meno dallo sciagurato referendum del 2011, ma anche da prima in realtà – in ampi settori del nostro mondo politico si afferma che l’acqua deve costare poco, per non dire che deve essere gratuita almeno per una prima fascia di consumi “necessari”. Anche se i prezzi dell’acqua in Italia sono i più bassi tra i grandi paesi europei. Anche se tra i servizi pubblici italiani quello idrico è già quello per il quale si spende di gran lunga meno (dati AEEGSI).

   E questo significa che le imprese non hanno i soldi per investire quanto dovrebbero, problema solo di recente (e solo parzialmente) risolto dalla sentenza del Consiglio di Stato, già commentata su lavoce.info. Dopo anni di diatribe, ora la struttura tariffaria è quanto meno definitiva e le imprese possono stare relativamente tranquille. Almeno, al netto delle decisioni dei regolatori locali (comune, consorzi di comuni o regione, a seconda) che speriamo cessino di operare come tappo agli investimenti.

   Ma conta anche l’azionista. Acea è società quotata in borsa, ma saldamente controllata dal comune di Roma, che ne nomina la maggioranza del consiglio di amministrazione e indica quindi il direttore generale. E questo accomuna la questione romana a tante altre questioni del paese, cosicché la storia del razionamento idrico a Roma cessa di essere solo una storia romana.

   Infatti, quasi tutta l’acqua in Italia è in mano pubblica. Così, se un comune eccepisse che la sua azienda – non riuscendo a erogare con continuità il servizio datole in concessione – viola una qualche regola contrattuale, quel comune finirebbe per sanzionare se stesso; improbabile e comunque ben poco sensato. Quindi, un regolatore che sia anche proprietario è ben poco efficace.

   Ma la natura pubblica dell’azionista ha un effetto anche sugli investimenti, e di nuovo la questione è nazionale. La carenza di investimenti è una pecca cronica del nostro intero sistema idrico; sugli impianti di depurazione non costruiti siamo già da tempo in infrazione comunitaria. Il tema delle grottesche perdite della nostra rete idrica è arcinoto. Ora emerge che anche i bacini di captazione sono insufficienti – oggi a Roma, domani dove? Conta l’azionista pubblico? Certo che conta.

   Se ho pochi quattrini dalle tariffe perché la retorica politica le tiene basse, l’unico modo che ho per investire è fare affidamento sul mio azionista. Ma se il mio azionista (pubblico) è affamato e mi spinge a pagargli quanti più dividendi possibile, allora il problema esplode.

   Non possiamo pensare di lasciare il sistema idrico – che deve investire miliardi nei prossimi anni – nelle mani di azionisti squattrinati.

Carlo Scarpa -- LaVoce.info

 

Commento

Savino 
3.000 dipendenti delle partecipate pubbliche che dovrebbero erogare servizi (acqua,rifiuti, trasporti ecc.) quotidianamente non si recano al lavoro perchè si sentono protetti dai politici che li hanno sistemati. Questo è il concetto italiano di servizio pubblico locale.

   Von den zwölf Monaten des Jahres verbringt der motorisierte Deutsche gefühlt einen Monat im Stau. Mehr als Terrorismus, Klimawandel und Nullzins-Politik fürchtet der Deutsche den Stau.

   Ganz zu Unrecht, denn Stau ist eigentlich ein Segen. Für die Menschen, die Fahrzeuge und das Klima. Hunderttausend Bürger, die sich im Stau befinden, entlasten die staufreien Strassen, auf denen der Verkehr flüssig rollen kann. Hunderttausend im Stau verbrauchen wenig Kraftstoff, denn ihr Fahrzeug ruht oder rollt ganz langam. Sie belasten daher wenig die Klimabilanz. 

    Wie vom Verkehrsfunk empfohlen, weichen Stauflüchtlinge "weiträumig" aus, bringen Leben und ihre Folgestaus in die Pampa und bescheren verschlafenen Dorftankstellen unverhoffte Hochpreis-Verkäufe.  

   Die hunderttausend oder mehr Staugebremsten arbeiten nicht oder nur geringfügig auf dem Smartphone. Dadurch mindern sie die volkswirtschaftliche Produktion, was hilft, den deutschen Exportüberschuss zu verringern und dadurch den defizitären Südländern zu helfen. Weil die gestauten Hunderttausend in der Produktion fehlen, behelfen sich die Firmen mit Teilzeitkräften und Immigranten, was gender- und integrationspolitisch wünschenswert ist.

   Längst hat die Politik erkannt, welchen Segen die Staus für die Wirtschaft darstellen können. Das Bundes-Stauverwaltungsamt soll in der kommenden Legislaturperiode das bisherige Bundesverkehrsministerium ersetzen und eine bundesweite Baustellenplanung ermöglichen, die das Staugeschehen dergestalt harmonisiert, dass jederzeit wenigstens 100.000 Vollzeit-Arbeitskräfte der Produktion entzogen werden.

   Das langfristige Ziel der Planung bis 2030 ist es, so viel verfügbare Arbeitszeit durch Urlaub, Feiertage, Krankheit und Staus zu absorbieren, dass die fortschreitende Roboterisierung der Produktion keine Arbeitslosigkeit erzeugen kann. Die Deutschen sollen fröhlich im Stau stehen können, wissend, dass die von den Robotern gezahlten Steuern wie gewohnt den Wohlstand für Alle garantieren. 

Red.

Turkish Education Minister İsmet Yılmaz has said a new national school curriculum will exclude evolution theory but will include the concept of jihad, or holy war, as part of Islamic law in textbooks.

Speaking during a press conference to introduce the new school curriculum in Ankara on Tuesday, Yılmaz said: “Jihad is an element in our religion; it is in our religion… The duty of the Education Ministry is to teach every deserving concept correctly. It is also our job to correct things that are wrongly perceived, seen or taught.”

In reference to the removal of evolution theory from the new curriculum, Yılmaz said it was not included “because it is above the students’ level and not directly relevant."

Full story here

 

Deutschland soll sich zusammen reissen. Soll sich nicht respektlos gegenüber der türkischen Justiz verhalten. In diesem Tonfall kritisierte der türkische Präsident Recep Tayyip Erdogan die von der deutschen Regierung verkündeten Warnungen an Reisende, in der Türkei tätige Firmen und potentielle Investoren.

   Es lohnt sich, den Stil der Erdogan’schen Kritik genauer zu betrachten als den Inhalt seiner Aussagen. Der Tonfall ist der eines Vaters, eines Erziehers, der ein Kind tadelt. Die Perspektive ist von oben herab. Das mag in Berlin lächerlich anmuten, mag auf Kommentatoren in den Medien “irrational” wirken. Indes ist dieser Stil weder lächerlich, noch irrational noch bizarr. Er zeigt vielmehr die Psyche eines Präsidenten, der – von seiner Umgebung ungebremst – ähnlich outriert wie sein Gegenstück in Washington es auf Twitter und in Interviews tut.

   Bei dem Versuch, Erdogans Stil zu verstehen, sind zwei Aspekte bedeutsam: einer ist seine allgemeine Weltschau, der andere sein besonderes Verständnis Deutschlands.

   Amerikanische Politiker und auch Präsidenten werden oft wegen ihrer geringen Weltkenntnis, und daraus resultierend ihrer Überbewertung der USA, verspottet. Trump ist wegen seiner internationalen Hotelkette eine löbliche Ausnahme.

   Erstaunlicherweise leidet Erdogan als Chef der relativ kleinen Türkei trotz seiner zahlreichen Reisen an einer ähnlich schiefen Optik. Er sieht die Türkei als enorm gross an und andere Staaten als wenig bedeutend. Das zeigte sich, als er den irakischen Premier Haider al-Abadi – immerhin Regierungschef eines 33-Millionen-Landes – wie einen Dienstboten abkanzelte, indem er ihn aufforderte, seinen Platz zu kennen.#) Auch seine Einlassungen zur Qatar-Krise in Richtung Saudi-Arabien – ebenfalls ein 33-Millionen-Land – zeigen wenig Respekt.  Dass die Araberliga ex definitione die Türkei ausklammert, erregt seinen ohnmächtigen Zorn.

   Nur zwei Länder in seiner Region erkennt er als gleichrangig an und respektiert sie: Russland und Iran. Deutschland ist für ihn (und manche anderen Türken) eine Kolonie, eine Art extraterritoriale Provinz der Türkei, in der man als Präsident Hausrecht hat und Weisungen erteilen kann. Berlin und das Ruhrgebiet sind türkische Agglomerationen, in denen sich Erdogan ebenso zuhause fühlt wie in Izmir oder Diyarbekir. Deshalb ist er empört, wenn ihm und seinen Ministern neuerdings freie Einreise und öffentliche Auftritte verweigert werden. Woher nimmt die Berliner Regierung das Recht, ihm zu verbieten, seine Bürger zu besuchen und mit ihnen zu sprechen?  Dass ein wachsender Teil dieser “Bürger” längst einen deutschen Pass hat, schert ihn nicht, denn für ihn bleiben sie und ihre Kinder und Kindeskinder für immer Türken, die man ermutigen muss, sich nicht zu assimilieren, sondern ihr Türkentum und ihren Glauben stolz zu bewahren.

   Dass Bundesaussenminister Sigmar Gabriel eben diesen Deutschtürken nun ihre Zugehörigkeit zu Deutschland versichert hat, war natürlich ein Fehler. Erstens kommt diese Zusicherung reichlich spät, nach Jahrzehnten nur mühsam unterdrückter Xenophobie vor allem in den christlichen Parteien. Zweitens lässt Gabriels ungefragte Verlautbarung vermuten, dass Berlin mit weiterer Eskalation im Verhältnis zu Ankara rechnet und erwartet, dass Erdogan als nächsten Schritt die Deutschtürken als Fünfte Kolonne gegen Berlin mobilisieren wird. Dass ein Streik der Dönerbuden und der Supermarktkassierer die Deutschen eher amüsieren als erschüttern würde, muss auch Erdogan vermittelbar sein. Doch eine mit aller Macht der Imame, ihrer Moscheen und der Verbände bundesweit etablierte Türken/Moslempartei könnte nicht nur in Berlin und Nordrhein-Westfalen herkömmliche Verhältnisse in Frage stellen. Daher Gabriels vorauseilende Umarmungsstrategie.

   Erdogan wird nicht aufhören, seinen alten Weggenossen und neuen Glaubensfeind Fethullah Gülen in Deutschland zu bekämpfen. Fraglos gibt es ziemlich viele Leute in Deutschland, die – ohne formell Gülenci zu sein -- dem Prediger nicht ohne Sympathie gegenüber stehen. Tausende sind durch seine Schulen gegangen und haben davon profitiert, ohne selbst militante Moslems zu werden. Jedenfalls Leute, die die heutige Hexenjagd gegen die Gülen-Anhänger verurteilen. Dass Gülen nach der Macht in der Türkei strebte, dass sein Geheimbund skrupellos Gegner aus dem Weg räumte, mag dem Absolventen einer Gülen-Schule im Ausland unbekannt sein. Manche mögen auch erst im Gefolge der Erdogan’schen Ausrottungsstrategie Gülen-Sympathisanten geworden sein. Wie auch immer: Erdogan wird versuchen, Berlin unter immer grösseren Druck zu setzen, die Gülen-Bewegung zu verbieten. Dabei sind ihm die wirtschaftlichen Daumenschrauben, die die deutsche Regierung und Brüssel ihm anlegen können, herzlich egal. Die türkische Wirtschaft ist stark, und wenn die Türken unter Sanktionen leiden müssten, so kann das sie nur in ihrem Glauben und ihrer Vaterlandsliebe bestärken. Kuba, Vietnam und Nordkorea haben gezeigt, wie man mit Sanktionen jahrzehntelang existieren kann.

   In Berlin und Brüssel gibt man sich der Illusion hin, mit Sanktionen könne man Erdogan zum Einlenken zwingen. Dabei lässt man die Persönlichkeit des türkischen Staatslenkers ausser Acht. Man erwartet, dass er auf die Strafmassnahmen wie ein normaler, gebildeter, verantwortungsbewusster Europäer reagiert. Doch Erdogan ist all das nicht. Er ist ein religiöser Fanatiker und ethnopolitischer Nationalist. Seine Abneigung gegen den christlichen Westen basiert nicht auf Bildung: kürzlich sprach er von 50 Millionen Türken und seine Entourage musste ihn verlegen korrigieren: es gibt 80 Millionen Türken.

   Er sieht sich als von Gott gesandt mit der Mission, den sunnitischen Islam zum Sieg über den Westen und seine Kultur zu führen. Die Türken sind dabei das auserwählte Volk und die Vorkämpfer aller Sunniten. Um den Türken ihre historische Rolle und Aufgabe klar zu machen, muss die Hinterlassenschaft eines Jahrhunderts Atatürk’scher Zwangs-Verwestlichung getilgt werden. Die Religion muss in alle Bereiche des öffentlichen und privaten Lebens vordringen. Alle, die sich dem widersetzen, müssen eliminiert werden. Sind sie erst mundtot gemacht, wird niemand mehr die Herrschaft der Frommen und Patrioten kritisieren oder untergraben. Dann wird die Türkei geschlossen hinter ihrem grossen Führer stehen und nichts wird den Sieg des Islam über den Westen und das Christentum behindern.

   Soweit die strategische Vision. Was die Taktik anlangt, erlaubt der Islam in der Verfolgung seiner Ziele die Verwendung von Kriegslisten und sogar die Verleugnung des Glaubens, wenn es langfristig nutzt. Da Erdogan ein gewiefter Taktiker ist, sollte man sich in Berlin und Brüssel fragen, ob er nicht den Zwist mit Europa bewusst herbeigeführt hat, um sein Volk in die gewünschte Richtung zu drängen. Dann wären Reaktionen wie die von Gabriel oder Österreichs Aussenminister Sebastian Kurz hilfreich für Erdogan, würden ungebeten seine Arbeit verrichten.

   Vielleicht ist es ihm ganz recht, wenn Antalyas Strände leer sind, frei von Bikini-Damen und westlichem Geplärr in den Diskos. Vielleicht würde er gerne den Tourismus auf ein Minimum beschränken und hätte, wenn überhaupt, lieber Russen als Deutsche im Land. Vielleicht könnte er mit weiteren Provokationen Berlin zwingen, eine Reisewarnung für die Türkei auszusprechen. Oder gar die Beziehungen einzufrieren.

   Den USA wird es wahrscheinlich gelingen, den Islamischen Staat ganz ins Mittelalter zurück zu bomben. Was ihnen nicht gelingen wird, ist, den enormen Eindruck zu mindern, den die Schreckensherrschaft des Daesh in den Gehirnen von Milliarden Moslems erzielt hat. Auf Jahrzehnte, vielleicht auf Generationen hinaus, hat das Experiment der Wiederbelebung eines kruden Urzeit-Islams das religiöse Empfinden, das Selbstverständnis der Frommen verändert. Kann man sich noch als fromm ansehen und bezeichnen, wenn man Koran und Scharia weniger radikal interpretiert als Kalif al-Baghdadi & Co.? Darf man sich in der Frömmigkeit vom Daesh rechts überholen lassen? Muss man nicht anerkennen, dass Baghdadi & Co eine wichtige Schlacht gegen den Westen geschlagen haben? Muss man ihnen nicht doch ein wenig nacheifern, weil manches richtig war, was sie sagten? *)

   Solche Zweifel nagen wohl an vielen gläubigen Sunniten. Einer von ihnen dürfte Erdogan sein. Nicht erst seit der Verkündung des Kalifats und den Terroranschlägen in der Türkei schwankt Ankara in seiner Haltung gegenüber den Radikal-Islamisten von Mossul und Raqqa. Bewunderung, Hilfsbereitschaft und Abscheu bildeten ein explosives Gemisch. Man geht wohl nicht fehl, in dieser Gemengelage den Gemütszustand Erdogans und seiner Partei zu erkennen. Was den Westen anlangt, so sollte dieser zur Kenntnis nehmen, dass sich Erdogan und seine Leute in den Jahren seit 9/11 schrittweise einem radikaleren Glaubensverständnis angenähert haben, dass sie Denkschemata übernommen haben, die von al-Qaeda und Daesh in die sunnitische Welt gesetzt wurden.

   Vieles spricht dafür, dass der Erdogan von heute ganz anders ist, als er noch vor wenigen Jahren war. Und dass es schwierig ist, mit einem von den Moslembrüdern regierten Staat irgendeinen Umgang zu pflegen. 

Ihsan al-Tawil

 

 

*)   "Während die Opposition verfolgt wird, rückt die AKP näher an radikalislamische Organisationen, IS-Kämpfer werden aus der Haft entlassen." (Heise Telepolis)

 

#Erdogan über Gabriel: „Wer sind Sie, dass Sie so mit dem Präsidenten der Türkei reden?“, sagte Erdogan am Samstag in einer im Fernsehen übertragenen Ansprache an die Adresse Gabriels. „Beachten Sie Ihre Grenzen!“, mahnte Erdogan den Bundesaußenminister. ...Wiederum an den Bundesaußenminister gerichtet fügte Erdogan hinzu: „Wie lange sind Sie eigentlich in der Politik? Wie alt sind Sie?“

 

Update

Mueller Probes Flynn’s Role in Alleged Plan to Deliver Cleric to Turkey

Ex-Trump adviser and his son were to be paid millions to forcibly remove Fethullah Gulen from U.S. and deliver him to Turkish custody.

La cuisson du riz dépendra de la recette choisie. Découvrez les différentes façons de cuire le riz pour agrémenter vos recettes.
Tout d'abord, il faut bien laver le riz. Une bonne façon de le faire est de le mettre dans une passoire, dans une grande casserole d'eau. Frottez bien le riz avec la main, puis lever la passoire hors de l'eau et replonger là dans la casserole.
Changer l'eau jusqu'à ce qu'elle soit claire, puis égoutter. De cette manière, les grains de sable sont déposés dans l'eau et le riz est soigneusement nettoyé. 
La meilleure méthode de cuisson pour cuire le riz est la cuisson à la vapeur. Quand il est cuit dans l'eau, il perd une bonne partie de son déjà faible pourcentage d'éléments azotés. Il faut beaucoup moins de temps pour le cuisiner qu'il en faut pour cuire les autres céréales. 
Comme tous les grains secs et les graines, le riz gonfle à la cuisson et prend plusieurs fois son volume. En fin de cuisson, chaque grain de riz devrait être séparé et distinct des autres, mais parfaitement tendre. 

Riz à la vapeur. 

Faire tremper une tasse de riz dans une tasse un quart d'eau pendant une heure, puis ajoutez une tasse de lait. 
Mettez-le tout dans la parie haute d'un cuiseur vapeur ou au dessus d'une bouilloire d'eau bouillante pendant une heure. Il doit être remué avec une fourchette de temps en temps, pendant les dix ou quinze premières minutes. 
Goûtez avant d'arrêter la cuisson.

Bouillie de riz (méthode japonaise). 

Nettoyer soigneusement le riz en le lavant plusieurs fois dans différentes eaux, et le laisser tremper une nuit. 
Dans la matinée, égoutter et mettre à cuire dans une quantité égale d'eau bouillante, (un verre d'eau pour un verre de riz). Pour la cuisson, une cocotte avec un couvercle approprié doit être utilisée. Chauffer l'eau à ébullition, puis ajouter le riz et, après l'avoir remué, mettre le couvercle qui ne doit pas être retiré pendant l'ébullition. 
Au début, pendant que l'eau bout, la vapeur s'échappe librement entre le couvercle et la cocotte, mais quand l'eau est presque évaporée, ce qui prendra entre huit et dix minutes, en fonction de l'âge et la qualité du riz, il ne restera plus qu'un mince filet de vapeur d'eau, et la cocotte doit alors être retirée pour la mettre à un endroit où elle ne brûlera pas. 
Laisser alors le riz continué à gonfler et sécher tranquillement pendant quinze ou vingt minutes. 
Bouillir le riz de façon classique nécessite un litre d'eau bouillante pour une tasse de riz. Il convient de le faire bouillir rapidement jusqu'à ce qu'il devienne tendre, puis l'égoutter et le mettre à four modéré pour le sécher. 
Le remuer et l'aérer légèrement avec une fourchette de temps en temps pour le rendre plus sec et plus léger. Il faut prendre garde, toutefois, de ne pas écraser les grains de riz. 

Riz à l'orange. 

Lavez le riz et faites le cuire à la vapeur. Préparez quelques oranges en les séparant en plusieurs quartiers que vous pouvez couper en deux. Enlever les grains d'orange et les filaments blancs. Saupoudrer les oranges légèrement avec du sucre, et laissez-les reposer pendant la cuisson du riz. Servir une portion d'orange sur chaque portion de riz.

Riz aux raisins secs. 

Faites cuire le riz à la façon vapeur. Après avoir lavé les raisins secs, faites-les revenir dans 50 gr de beurre avec un peu de sel et avec un peu de cumin. Lorsque les raisins secs sont gonflés, retirez-les du feu. Dans une casserole mettez une couche de riz cuit, puis une couche de raisin secs au cumin, encore une couche de riz, puis une couche de raisins sec au cumin et à la fin ajouter 50 gr de beurre coupé en dés ou un peu de crème fraiche.
Couvrez la casserole et laissez cuire à feu doux entre 10 à 15 mn. 
Laissez reposer une dizaine de minutes avant de servir.

Riz aux pêches. 

Préparez 400 g de riz que vous faites cuire à la vapeur comme ci dessus. Ajoutez-y 3 oeufs frais et placez ce riz dans des ramequins allant au four. 
Saupoudrez de sucre et passez au four quelques minutes. Servez avec des quartiers de pêches coupées en tranches et du coco râpé.

Riz à la pilaf

C'est la meilleure façon de cuire un riz long grain. 
Comment s'y prendre ? C'est simple : mettez à chauffer une cuillère à soupe de beurre ou d'huile dans votre casserole. 
Versez ensuite le riz et remuez à l'aide d'une spatule en bois. 
Lorsqu'il est translucide, versez 30 cl d'eau chaude, et faites frémir. 
Salez, poivrez, couvrez et laissez cuire à couvert de 12 à 15 minutes selon le type de riz.

Bon Appétit!

Bruno LAURENT  -- NOPANDA