Le riforme pensionistiche sono la causa dell’alta disoccupazione giovanile in Italia? L’innalzamento dell’età per la pensione ha avuto effetti negativi sull’occupazione giovanile, almeno a livello locale. Il discorso è diverso quando l’economia cresce.
Riforme delle pensioni e occupazione dei giovani
Negli ultimi vent’anni, l’occupazione giovanile in Italia si è ridotta in modo sostanziale. I dati dell’Indagine sulle forze di lavoro mostrano che il numero di occupati in età 16-34 anni si è ridotto da 7,5 milioni nel 1996 a 4,9 milioni nel 2015. Il declino è cominciato prima della crisi del 2008. Nello stesso periodo, l’occupazione nella classe di età 50-70 è aumentata da 3,8 a 7,3 milioni.
Candidata naturale a spiegare il contemporaneo aumento degli occupati senior e la riduzione dei giovani occupati è la sequenza di riforme pensionistiche che dal 1996 al 2011 hanno innalzato l’età minima pensionabile da 52 a più di 65 anni. In seguito alle riforme, la quota di individui in età 50-70 che riporta di essere in pensione è diminuita dal 40 per cento nel 1996 al 27,6 per cento nel 2015. Alcuni sostengono che, costringendo i lavoratori a ritirarsi più tardi, le riforme abbiano aumentato l’occupazione senior con possibili effetti negativi su quella giovanile.
Un aumento dell’occupazione senior genera per forza una riduzione dell’occupazione giovanile se il numero totale di posti di lavoro in un’economia è fisso. E non è sorprendente che gli economisti abbiano contrastato questa idea. Ma se anche consentiamo che il numero di posti non sia fisso, qual è l’evidenza empirica a sostegno del punto di vista che riforme pensionistiche che allungano la vita lavorativa danneggiano l’occupazione giovanile?
Rispondere alla domanda non è semplice, perché le riforme pensionistiche toccano tutti. È quindi difficile distinguere i loro effetti da quelli di altri eventi macroeconomici, come ad esempio l’innovazione tecnica che influenza il livello e la composizione dell’occupazione.
Dati e stime sulle province
Le riforme pensionistiche, tuttavia, non toccano tutti allo stesso modo. In particolare, il loro effetto sull’offerta di lavoro locale (ad esempio provinciale o regionale) varia a seconda della composizione per classi di età della popolazione locale. Per intenderci, indichiamo con PT la popolazione locale in età compresa tra 50 anni e l’età minima pensionabile.
La figura 1 illustra come sia cambiata PT dal 2004 al 2015 nelle province italiane a seguito delle riforme pensionistiche avvenute in quegli anni. Le aree in blu scuro sono quelle dove il cambiamento percentuale è stato maggiore e le aree chiare sono invece quelle dove il cambiamento è stato minore.
Mentre il “trattamento” rappresentato dalle riforme pensionistiche è stato lo stesso nell’intero paese, la sua intensità è stata diversa tra mercati del lavoro locali diversi. È possibile utilizzare questa variabilità per stimare l’effetto causale delle riforme pensionistiche sull’occupazione locale giovanile.
Usando dati di 102 province italiane per il periodo 2004-2015, troviamo che un aumento a livello provinciale della popolazione tra i 50 anni e l’età minima pensionabile pari a mille unità induce una riduzione dell’occupazione giovanile in età 16-34 pari a 189 unità e una riduzione dell’occupazione degli individui in età 35-49 pari a 86 unità. D’altro canto, l’occupazione per la classe di età 50-70 aumenta di 149 unità. Nel complesso, l’effetto totale è negativo e l’incremento dell’occupazione senior non è tale da compensare la riduzione dell’occupazione giovanile.
Ciò può dipendere in parte dal fatto che il periodo 2004-2015 è stato caratterizzato da occupazione complessiva stagnante e tasso di crescita del Pil vicino a zero o negativo. Per capire se gli effetti stimati valgano anche per un lasso di tempo più lungo, che contiene una fase di crescita economica e occupazionale moderata, abbiamo stimato l’effetto causale delle riforme pensionistiche sull’occupazione regionale per il periodo 1996-2015. In questo caso, l’effetto di un incremento di mille unità della popolazione locale tra i 50 anni e l’età minima pensionabile sull’occupazione giovanile è negativo, ma decisamente minore in valore assoluto. Mentre l’occupazione locale in età 16-34 e 35-49 diminuisce rispettivamente di 68 e 28 unità, l’occupazione in età 50-70 aumenta di 304 unità. Complessivamente, se si considera un periodo in cui l’economia registra anche una fase di crescita, l’effetto delle riforme sull’occupazione complessiva è positivo.
Le stime suggeriscono due cose. Da una parte, anche senza assumere che il numero di posti di lavoro sia costante, le riforme pensionistiche che hanno alzato l’età minima pensionabile hanno avuto effetti negativi sull’occupazione giovanile, quanto meno a livello locale. D’altra parte, i costi occupazionali delle riforme sono minori quando l’economia nel suo complesso cresce.
Figura 1 – Variazione provinciali di PT tra il 2004 e il 2015. Dati Istat sulle forze di lavoro.
Am Ende eines Krieges ist ein Land in der Regel ausgelaugt. Die Entbehrung der Kriegsjahre, die Konzentration auf ein einziges Ziel – die Rüstung – hatten Folgen. Alle zivilen Investitionen unterblieben. Während des Krieges lebte das Land aus der Substanz. So ähnlich geht es derzeit Italien nach fast einem Jahrzehnt Schuldenkrise.
Italien ist in einem jämmerlichen Zustand. Seit 1990 sind die Re-Investitionen des Staates in die Infrastruktur kontinuierlich gesunken und standen 2016 bei minus 47 Prozent des ursprünglichen Budgetanteils. Entsprechend stieg der Anteil des Verbrauchs an den Staatsausgaben um ebenfalls 47 Prozent. Noch drastischer fiel der Anteil der Neuinvestitionen in die Infrastruktur, nämlich um 64 Prozent im Vergleich zu 1990, laut einer Statistik des Bauwirtschaftsverbandes ANCE.
Nach 2008 hat sich im Zuge der Schuldenkrise der Abbau der öffentlichen Investitionen beschleunigt. Wie ein Kriegsziel hat in diesen Jahren die von Brüssel und Berlin geforderte Schuldenstabilisierung von den italienischen Regierungen volle Konzentration auf dieses Ziel gefordert. Mehr als die unabweisbaren täglichen Ausgaben mit so wenig neuen Schulden wie möglich zu finanzieren war nicht drin. Daher lebte Italien jahrelang aus seiner ohnehin niemals üppig gewesenen Substanz.
Italien, ein Flickenteppich
Das Ergebnis ist überall sichtbar, deutlich auch im Verkehr. Italiens Strassen in und ausserhalb der Städte sind ein einziger Flickenteppich; nur die privat finanzierte Autobahn ist in akzeptablem Zustand. Öffentliche Verkehrsbetriebe und Versorgungsunternehmen ächzen unter veraltetem, ständig Reparaturen erfordernden Material. Wo Reparaturen fällig werden. können sie aus Mangel an Material und Arbeitskräften oft nicht durchgeführt werden. Das Material steht daher unrepariert herum. Baustellen werden oft nur eingezäunt, abgeriegelt und bleiben Monate und manchmal Jahre liegen.
Was das für Italiens Wirtschaft bedeutet, zeigt sich am deutlichsten in Rom. Derzeit herrscht in der Kapitale am Tiber Aufregung über die Beobachtung, dass mehr und mehr grosse Firmen Rom verlassen und nach Mailand abwandern. Die Gründe sind leicht zu finden: eine chaotische Stadtverwaltung: seit die Grillo-Bewegung der Fünf Sterne mit Virginia Raggi ins Kapitol eingezogen ist und erst einmal 130 der Korruption verdächtigte Amtsvorsteher und 500 Beamte (la Repubblica 28/5/17) kaltgestellt und alle laufenden Ausschreibungen wegen Mafiaverdachts gestrichen hat. Da die Grillini weder über genug qualifiziertes Personal noch über wirklich korruptions-unverdächtige Mitstreiter verfügen, ist die Stadtverwaltung gelähmt: sie arbeitet nicht.
Nordflucht
Doch das ist nur einer der Gründe für die Abwanderung. Der Verkehr hat Ausmasse angenommen, die echt die Arbeit behindern. Die wenigen U-Bahnen fallen wegen Altersschwäche häufig aus. Der Busverkehr bleibt im Dauerstau stecken, die altersschwachen Busse gehen öfters in Flammen auf. Der Pendelbetrieb der Bahn ächzt unter Überfüllung und inhumanen Transportbedingungen. Angeblich ist Rom die am stärksten motorisierte Grossstadt mit einem Auto je Erwachsenen, plus einer halben Million Motorrädern. Da Führerscheine auch nach Gefälligkeit vergeben werden, kann man die Kenntnis der geltenden Verkehrsregeln nicht von allen Fahrern erwarten: deswegen ist im Gewühl höchste Vorsicht und Konzentration erforderlich. Entsprechend anstrengend ist vor allem der Stosszeitverkehr, so dass Arbeitskräfte morgens bereits erschöpft am Arbeitsplatz erscheinen und erst einmal die nächste Bar aufsuchen, um sich bei einem Cappuccino zu erholen.
Den Römern ist jedoch in den letzten Jahren eine grosse Hilfe zuteil geworden: das telefonino und sein Nachfolger, das Smartphone. Die Stunden im Verkehr machten die Römer zu kreativen Multi-Taskern. Während sie fahren, telefonieren und texten sie, nicht nur im Auto, sondern auch auf dem Motorrad und neuerdings auf dem Fahrrad. So lässt sich ein Teil der Büroarbeit unterwegs erledigen. Das ist natürlich keine Lösung im Sinne der grossen Firmen oder gar der Verkehrssicherheit.
Geografische Fliehkraft
Was sich in Rom am deutlichsten zeigt, gilt mutatis mutandis auch im Rest des Landes. Insgesamt zeigt sich, dass die Wirtschaft Italiens nach Norden drängt. Der Süden, der Mezzogiorno, ist bei Einkommen, Arbeitslosigkeit und anderen Indikatoren von der Krise deutlich stärker betroffen als der Norden. Nicht nur die grossen Firmen, auch die Mafias des Süden wandern in den Norden, so dass sich das regionale Ungleichgewicht immer stärker ausprägt. Gegenpole wie Bozen/Trient im Norden und Agrigent/Palermo im Süden streben wie durch Fliehkraft auseinander. Rom und Latium hatten sich noch einigermassen gehalten; jetzt droht auch dem Zentrum Italiens, in den Süden gestossen zu werden.
Dass sich trotz dieser Umstände Italiens Wirtschaft und der Arbeitsmarkt nach Jahren des Rückgangs stabilisiert haben, grenzt an ein Wunder. Hin und wieder verzeichnet man sogar ein wenig heftig applaudiertes Wachstum bei stagnierender Verschuldung, doch man vergisst dabei, dass die Erosion der Infrastruktur ungebremst weiter läuft. Brüssel und Berlin mögen denken, dass es Italien vielleicht doch schafft, sich zu erholen, wenn man nur lange genug wartet.
Auch Grillini sind Italiener
Das Gegenteil ist jedoch der Fall: mit jedem Jahr der mühsam erkämpften Stagnation wird Italiens Lage wegen der Auszehrung der Infrastruktur hoffnungsloser. Heute fliehen die Firmen aus dem Süden in den Norden. Die auswärtigen Investitionen steigen zwar nach Jahren praktischer Abwesenheit wieder ein wenig auf das Niveau des kleinen Dänemark. Aber sie gelten nicht der Produktion. sondern nur Vertrieb und Forschung. Noch dienen Mailand, Trient und Venetien als Ankerplätze für die Nordwanderer: aber wie lange noch? Was, wenn übereifrige Grillini im ganzen Land an die Macht kommen, den Augiasstall Italiens auszumisten beginnen und die auf Korruption gegründete Verwaltung zusammenbricht? Nicht umsonst fürchtet die Wirtschaft die kommenden Wahlen, denn die Grillo-Bewegung ist inzwischen laut Umfragen die stärkste Partei. Immerhin zeigt sich deutlich, dass Politstar Davide Casaleggio jr. die Bewegung in eine pragmatischere Richtung führt, weg von den radikal-sozialistischen Träumen seines verstorbenen Vaters und Parteigründers.
Die marode und weiter zerfallende Infrastruktur ist nur eines der grossen Probleme Italiens, wenn auch ein bisher weitgehend ignoriertes. Es gibt den tiefen Süden, wo das Volk Mafiabosse oft wie Heilige verehrt. Es gibt ganz Italiens Leitmotiv der furbizia, der Schlauheit, die dem Einzelnen empfiehlt, sich seinen Mitbürgern und der Gemeinschaft durch Schlauheit überlegen zu zeigen. Furbizia bedeutet, dass tausend dem Fiskus vorenthaltene Euro doppelt so viel Befriedigung stiften wie tausend erarbeitete Euros. Furbizia beweist, wer sich an der Kreuzung einen halben Meter vor seinen Nachbarn drängelt, weil ja das Gesetz sagt, dass bei einer Kollision stets der Recht hat, der weiter vorne ist. Es gibt das Problem der durch Interessengruppen blockierten Reformversuche in Politik, Justiz, Arbeitsmarkt und Wirtschaft. Es gibt das Damoklesschwert der ungeheueren öffentlichen Verschuldung Italiens, das von EZB-Chef Draghi noch gehalten wird; das aber sehr wahrscheinlich fallen wird, sobald Draghi die Zinsen steigen lässt. Die Angst vor dem spread, dem Indikator der Vertrauenswürdigkeit italienischer Staatsschulden, lähmt das Interesse in- und ausländischer Anleger trotz der lockend hohen Renditen.
Wachstum durch Substanzverzehr
Wollte man Italien helfen, aus seiner Selbstlähmung zu erwachen und echtes statt durch Substanzverzehr erzieltes Wachstum zu erreichen, so müsste man seine Infastruktur erneuern und ausbauen. Ein Projekt in der Grössenordnung von hundert oder mehr Milliarden. Bedauerlicherweise liesse sich ein solches Projekt nicht durch Kredite finanzieren, denn Schulden hat Italiens Staat ja schon im Überfluss. Wollte Europa seinem Gründungsmitglied auf die Beine helfen, so müsste es ihm die Mittel für das Projekt schenken.***)
Ganz abgesehen von den Problemen, die eine solche Zuwendung bei den Geberstaaten aufwerfen würde: in Italien selbst wäre es äusserst schwierig, ein grosses Infrastrukturprogramm durchzuführen. Hunderte, tausende von öffentlichen Ausschreibungen für die Arbeiten und Materiallieferungen wären erforderlich. In Italien bedeutet das einen Selbstbedienungsladen für die organisierte Kriminalität und die korrupte Beamtenschaft.*)
Spezielle Gegebenheiten
Die Kommission in Brüssel hat ein detailliertes Ausschreibungsverfahren entwickelt, das als sachdienlich und zuverlässig gilt. Doch das Parlament in Rom hat zahlreiche Gründe gefunden, warum das EU-Verfahren den “speziellen Gegebenheiten Italiens” angepasst werden müsse. In fast jedem der letzten dreizehn Jahre hat der Gesetzgeber an den Ausschreibungsmodalitäten gebastelt, stets um sie angeblich transparenter und vor Missbrauch sicherer zu gestalten. Das Gegenteil trat ein. Die Mafias und die anderen Kriminellen waren stets einen Schritt voraus, fanden neue Wege zur Bereicherung. Nur 32 Prozent der öffentlichen Vorhaben seit 2001 wurden tatsächlich durchgeführt, wie Affari-Finanza (29/5/17) berichtete.
Ein Beispiel: Unter Roms früherer Stadtregierung des Postfaschisten Gianni Alemanno wurde der städtische Gartendienst ausgedünnt: von über tausend Arbeitskräften auf zuletzt noch 140. Rom ist nicht nur eine grosse, sondern auch eine sehr grüne Stadt. Also wurde der Gartendienst privatisiert, mit Hilfe von Ausschreibungen. Darauf warteten die lokalen Kriminellen der Mafia Capitale, gründeten ländliche, angeblich bäuerliche Kooperativen mit frommen Namen und gewannen mit ihnen prompt die Ausschreibungen. Als die Grillina Raggi Bürgermeisterin wurde und das einträgliche Spiel mit den Ausschreibungen blockierte, gab es plötzlich keine Gärtner mehr. Ergebnis: Rom erstickt im Unkraut. Mehrere Parks mussten geschlossen werden, weil sie zugewuchert sind.
Es müsste also das Ausschreibungsrecht ent-italianisiert werden, bevor eine grössere Infrastrukturinvestition überhaupt denkbar wird, die nicht Italiens Schröpfköpfen der Mafias zufiele. Das und die Eingrenzung der furbizia in Parlament und Behörden aber erfordert internationale Überwachung nach griechischem Modell; eine bittere Pille, die bislang keine italienische Regierung zu schlucken bereit war. Aber wenn ein grosszügiges Angebot aus Brüssel käme...
Benedikt Brenner
*) Le mafie stesse rischiano di diventare 'autorità pubblica' in grado di governare processi e sorti dell'economia. "L'uso stabile e continuo del metodo corruttivo-collusivo da parte delle associazioni mafiose determina di fatto l'acquisizione (ma forse sarebbe meglio dire, l'acquisto) in capo alle mafie stesse, dei poteri dell'autorità pubblica che governa il settore amministrativo ed economico che viene infiltrato"
“All’interno di questa cabina di regia criminale – si legge ancora nella Relazione – è stato gestito il potere, quello vero, quello reale, quello che decide chi, in un certo contesto territoriale, diventerà sindaco, consigliere o assessore comunale, consigliere o assessore regionale e addirittura parlamentare nazionale od europeo.
***) " Wenn (von Brüssel auferlegte) äußere Zwänge uns davon abhalten, in sichere Straßen und Schulen zu investieren, dann müssen wir wirklich hinterfragen, ob es Sinn macht, diese Regeln zu befolgen“, sagte der EU-Skeptiker (Innenminister Matteo) Salvini. Kosten, die für die Sicherheit ausgegeben werden, dürften nicht nach den strengen EU-Regeln berechnet werden. „Es kann keinen Kompromiss zwischen Budgetgrenzen und der Sicherheit der Italiener geben.
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L’uscita dall’euro raccontata da una tragedia in un prologo, tre atti e un epilogo. Per ora è fantapolitica, presto però potrebbe essere realtà. Ma se non esiste un modo ordinato per uscire dalla moneta unica, cerchiamo di farla funzionare meglio.
Prologo
Dopo infinite mediazioni, il parlamento italiano approva, per entrambi i suoi rami, una nuova legge elettorale proporzionale, blandamente corretta con una soglia di sbarramento relativamente bassa. La data delle elezioni è fissata per domenica 11 marzo 2018, fine naturale della XVII legislatura. All’avvicinarsi delle elezioni, i partiti antieuropeisti appaiono sempre più in testa nei sondaggi. In mercati già nervosi per la fine del programma di acquisto di titoli pubblici da parte della Banca centrale europea, lo spread tra Bund e Btp sale a oltre 350 punti base, mentre la borsa italiana continua a scivolare. In particolare, i titoli bancari sono sotto stress. Gli investitori esteri sono i primi a uscire dal rischio Italia: rischio di ingovernabilità e rischio di vittoria dei partiti anti-euro.
Atto I
Alle elezioni, nessun partito ottiene la maggioranza e formare un nuovo governo risulta estremamente difficile. Ma alla fine una eterogenea coalizione si coagula per un esecutivo di scopo, che tra altro si propone di indire un referendum consultivo sull’appartenenza all’Unione monetaria e all’euro.
Tutti, salvo i leader al governo, hanno chiaro in mente che l’eventuale uscita dall’euro, implicando una ridenominazione del debito italiano nella nuova valuta (che si vuole svalutata rispetto alla moneta unica) equivale a un default dello stato italiano.
Così lo spread tra i Btp decennali e i Bund schizza a 600, mentre i tassi a breve superano il 10 per cento. A questi livelli sia il deficit che il debito pubblico sono destinati a salire ben oltre le previsioni governative e gli impegni presi con Bruxelles. Anche le banche italiane subiscono pesanti perdite, giacché il valore degli oltre 160 miliardi di titoli pubblici italiani presenti nei loro bilanci subisce un tracollo.
Molti italiani, spaventati, scappano dai titoli di stato e dai depositi bancari. Tanti accumulano banconote (cioè euro), che tengono nelle cassette di sicurezza o sotto i materassi (i furti nelle case si moltiplicano). La Bce interviene fornendo liquidità straordinaria alle banche italiane.
Atto II
Il referendum è fissato per la metà di giugno 2018. Le agenzie di rating tagliano il loro giudizio sui titoli di stato e sulle banche. In un clima di forte caduta dei corsi, la Bce è costretta a non accettare più titoli del governo italiano quale collaterale per la liquidità che fornisce al sistema. Alcune aste di titoli di stato vanno deserte. I tassi d’interesse, incorporando un premio per il rischio crescente, salgono a livelli mai visti dalla fine degli anni Settanta, e spingono sempre di più i debitori a non pagare, moltiplicando i crediti deteriorati.
Come avvenuto nel passato in numerose crisi valutarie in America Latina ma anche a Cipro, le banche vengono chiuse e ai bancomat – dove si sono formate lunghe code – il contante distribuito viene razionato a mille euro al mese per persona. Per arginare la fuga di capitali la Guardia di finanza e l’esercito vengono mobilitati alle frontiere. Molte aziende sono costrette a chiudere temporaneamente per l’impossibilità di accedere al credito e per la caduta verticale della domanda interna di beni e servizi. I fallimenti e i licenziamenti hanno un’impennata. Ciononostante, l’inflazione comincia a salire perché la caduta della produzione è anche maggiore di quella della domanda e perché si stanno consolidando aspettative di svalutazione.
Atto III
La crisi italiana ha ampie ripercussioni anche all’estero. Il contagio è globale. Molte banche e aziende straniere, che hanno cospicui interessi in Italia, sono prese d’assalto dalla speculazione. La Commissione europea, la Bce, il Fondo monetario internazionale, ma anche i governi degli altri paesi del G7 e, in prima fila, il presidente Trump studiano un piano per fronteggiare quello che potrebbe diventare il più grosso default della storia. Oltre allo stato italiano, anche le principali banche del paese sono di fatto insolventi, date le forti perdite accumulate sul loro attivo di bilancio (titoli e prestiti). Le aspettative sono per una svalutazione di almeno il 40 per cento della nuova moneta, “creatura destinata a nascere sotto maligna stella”, dichiara in parlamento il deputato di colore Otello.
Epilogo
Al referendum, la maggioranza degli italiani vota a favore dell’euro e viene messo in piedi un enorme piano internazionale di salvataggio dell’Italia e delle sue istituzioni finanziarie, ma ci vorranno anni per sanare i danni provocati dall’aver messo in discussione la moneta unica europea. A tutti torna in mente il monito di Mario Draghi che l’euro è una costruzione irreversibile, dalla quale non si può tornare indietro.
Morale: se non esiste alcun modo ordinato per uscire dall’euro, cerchiamo di farlo funzionare meglio.
Turkey is still taking stock of its referendum on sweeping constitutional reforms, which delivered a crucial victory for the president, Recep Tayyip Erdoğan – albeit under highly contested circumstances.
The anti-Erdoğan “No” camp, led by the Republican People’s Party (CHP) and the Kurdish-led, left-leaning People’s Democracy Party (HDP), claim that about 1.5m ballots in favour of “Yes” were counted despite having no official stamp, which should have rendered them invalid. But their complaints have failed to overturn the result, and the new political reality is taking shape. Turkey’s parliamentary system will be restructured, greatly enhancing Erdoğan’s power.
The new “super-presidency” system is the ultimate realisation of the “New Turkey” rhetoric long propagated by Erdoğan’s right-wing populist (in a “conservative democrat” discourse) ruling party, Justice and Development (AKP). Whatever the coming years hold, they will be full of surprises. No one, including Erdoğan and the AKP, seems quite sure what to expect – but the implications of this new order are especially unclear for the Kurds.
In the absence of a clear prognosis, the future of the so-called “Kurdish right problem” is the subject of intense debate on all sides. Is New Turkey a renewed Ottoman millet system of religious politics, an Islamist project in the style of the Muslim Brotherhood, or a chance to realise the long-held dream of Kurdish self-governance?
The result was a beacon of hope for many in Turkey and beyond, but it faded fast. At a second election later in 2015, Erdoğan won an outright majority and formed a government, while the HDP lost 20 of its hard-won seats. Erdoğan’s approach to the Kurdish issue has since then been more hardline than ever.The Kurds briefly seemed to have a strong political voice in the form of the HDP. The party is noticeably different to the pro-Kurdish political parties of yore, espousing a leftist populist discourse of equality and liberty for all against the AKP’s growing conservative authoritarianism and neoliberal elitism. It’s also relatively popular among Kurdish movements: its efforts to mobilise the passion stirred up by the 2013 Gezi Park protests seemed to pay off at the June 2015 election, where it cleared the 10% national vote threshold to win seats in parliament, netting 80 MPs.
A more muscular approach
The president accuses previous governments of being “weak” in the face of the militarised Kurdistan Workers’ Party (PKK). He blames their failure on treacherous cadres within the police, military, and intelligence services – the same malign infiltrators he accuses of masterminding the failed coup attempt in July 2016. Expunging these factions, he says, will allow him to take a more muscular, highly militarised approach.
When the so-called Kurdish peace process ultimately broke down in 2015, the AKP government duly turned away from a peaceful path to a military one, vowing to vanquish the PKK altogether – all this with the zealous support of Turkish ultra-nationalists.
Violence soon returned to south-eastern Turkey. The HDP’s “human security” agenda was overwhelmed by a new armed conflict between security forces and the PKK’s youth branch, the Patriotic Revolutionary Youth Movement, who are using heavy weapons, digging trenches and erecting barricades down the side streets of cities and towns.
Meanwhile, in 2016, almost all the elected pro-Kurdish municipal authorities were replaced by state-appointed “trustees” and elected mayors arrested, while the tough state of emergency law has securitised the region as never before.To listen to Erdoğan, you might think none of this was happening. In his post-referendum victory speech, he claimed his support had substantially grown in the east and south-east, even though those regions voted “No” by large margins. The HDP counter-claims that what advances Erdoğan made can be chalked up to fraud, unfairness, and outright coercion.
Erdoğan seems to be looking for a new political representative for the Kurdish movement, one that will be more likely to toe his line. But as long as he oppresses the HDP, Kurdish politics will have no single mainstream political voice. The non-PKK, secular, socialist or Kurdistani (pro-Kurdish autonomy) political parties have yet to mobilise efficiently enough to carry much weight. The ensuing vacuum might be filled by a new actor – and not necessarily a secular, peaceful one.
One faction vying for the lead role is Hüda-Par, a radical Islamist party with links to the Hizbullah paramilitary group. But the majority of Kurds still associate Hizbullah with brutal violence, and secular pro-Kurdish factions are still popular, particularly since their victory against the so-called Islamic State just across the Syrian border.
So long as the Kurds lack a unified political voice, the newly empowered Erdoğan will continue to deal with them violently rather than peacefully – and their future in Turkey will remain out of their control.
Ein Name lässt das Gewerbe der Migrantenrettung vor der libyschen Küste erzittern: Carmelo Zuccaro. Der neue Staatsanwalt von Catania ist bekannt für tüchtige, unerschrockene Arbeit als oberster Inspekteur der notorischen Verflechtungen zwischen Mafia und Politik, unter denen Catania und das ganze östliche Sizilien leiden. Doch die Bombe, die Zuccaro diesmal gezündet hat, trifft eine andere Problematik, nämlich die Beziehungen zwischen Migrantenrettern und libyschen Schlepperorganisationen.
Ausgehend von einem Verdacht, den die europäische Organisation Frontex wiederholt geäussert hat, dass manche private Rettungsinitiativen den Schleppern das Handwerk erleichtern, hat Zuccaro den Sachverhalt untersuchen lassen und kam zu folgendem Ergebnis:
“Wir haben Beweise, dass zwischen einigen NGOs (nichtstaatlichen Organisationen) und Menschenschleppern direkte Kontakte existieren. Wir wissen von Telefonanrufen aus Libyen zu gewissen Organisationen, Scheinwerfer, die den Kurs zu den Schiffen dieser Organisationen beleuchten, und Schiffe, die plötzlich ihren Transponder ausschalten,” damit sie nicht geortet werden können.
Die Staatswaltschaft von Catania untersucht alle NGOs, die vor der afrikanischen Küste aktiv sind. “Es gibt darunten gute und schlechte”, sagt Zuccaro. Zu den guten zählt er Médécins sans frontières (Ärzte ohne Grenzen) und Save the Children (Rettet die Kinder). Zu den Verdächtigen zählt er fünf von neun im Meer aktiven Organisationen, darunter die maltesische MOAS und deutsche NGOs.
Doch auch bei den “Guten” ist Zuccaro kritisch. “Bei den Verdächtigen müssen wir herausfinden, was sie treiben. Bei den Guten müssen wir uns fragen, ob es richtig und normal ist, dass es die europäischen Regierungen ihnen überlassen, zu entscheiden, wie und wo man im Mittelmeer eingreifen muss.” Zuccaro ergänzt, dass das Thema angesichts der 250.000 von ihm für dieses Jahr erwarteten Bootsmigranten dringend ist und weder der Zeitbedarf der Justiz noch ihr Wirkungsvermögen ausreichen. Das Thema sei ein politisches und gehe die europäischen Regierungen, nicht nur die italienische, an.
Naturgemäss hat diese Meldung in der italienischen Presse ein lebhaftes Kommentar-Echo ausgelöst. Zu den vorwiegend negativen Stimmen zählt der Vorschlag, die Schiffe der verdächtigen NGOs beschlagnahmen zu lassen. Weniger radikal wird mehrfach gefordert, den Schiffen die Anlandung ihrer Menschenfracht in italienischen Häfen zu verbieten. Wohin die Menschen dann sollen, wird nicht diskutiert.
In jedem Fall ist die Bundesregierung gefordert, die Rolle deutscher NGOs zu untersuchen und eng mit der Staatsanwaltschaft von Catania zusammen zu arbeiten.
Benedikt Brenner
Update
Lorenzo Pezzani schrieb für das Forensic Oceanography department at Goldsmiths, University of London einen Bericht, in dem es heisst:
Today the SAR ( Search and Rescue) activities courageously undertaken by NGOs are under attack. Despite their crucial life-saving role, SAR NGOs have in recent months become the object of a de-legitimisation and criminalisation campaign that has not only involved Frontex, the European Border and Coast Guard Agency, high-level politicians, and the media, but has also led to the opening of several exploratory inquiries by prosecutors in Italy. While some of the most heinous aspects of these attacks have proven baseless or have already been effectively refuted.