Datenschutz ist ein grosses Wort in Deutschland. Seit Jahren wird erbittert gestritten, ob Vorratsdatenspeicherung zwar für Terror- und Verbrechensbekämpfung erforderlich ist, die Bürgerrechte aber unerträglich einschränkt. Auf der einen Seite fordern Polizei, Fiskus und Judikative möglichst freien Zugang zu persönlichen Daten, auf der anderen Seite protestieren Datenschützer, Bürgerrechtler und die Öffentlichkeit gegen hemmungsloses Datensammeln und unvermeidlichen Missbrauch.

   Ganz anders ist die Lage in Italien. Dort kann der Bürger auf blossen Verdacht hin überwacht werden. Ein Staatsanwalt kann Überwachung anordnen noch bevor ein Richter die Genehmigung dazu erteilt hat. Telefongespräche gelten der Judikative als wichtige Beweismittel und gelangen im Prozessverlauf legal an die Öffentlickeit, nämlich dann, wenn sie der Verteidigung vorgelegt werden.  Diese Veröffentlichung in Medien und Blogs kann eine Vorverurteilung bedeuten und wird von den Betroffenen bitter beklagt.

   Seit Jahren bemühen sich wechselnde Regierungen, die Medien, das Internet und Private an der Veröffentlichung solcher Gespräche zu hindern. Zwar ist in Italien die Privatsphäre geschützt und der unerlaubte Mitschnitt von Gesprächen gilt als Delikt, doch dies gilt nicht, sobald ein Richter die Überwachung genehmigt hat. Die Richter scheinen sehr fleissig zu genehmigen, denn Zahl und Umfang der Telefonprotokolle, die bei Prozessen bekannt werden, ist erstaunlich. Dazu gesellt sich illegales Abhören, wie es hohe Angestellte der Telecom Italia in Zusammenarbeit mit dem Geheimdienst betrieben haben und dadurch komplette Profile bekannter und wichtiger Persönlichkeiten erstellten und für unappetitliche Zwecke lieferten.

   Medien und Öffentlichkeit laufen Sturm gegen die als "Knebelgesetz" bekannte Initiative zur Verhinderung der Veröffentlichung der Telefontexte. Initiator des Gesetzes und prominentester Datenschützer ist ex-Premier Silvio Berlusconi, dessen Telefonate mit halbseidenen Gestalten wie Gianpaolo Tarantini und Valter Lavitola und mit seiner weltbekannten Damenriege ihm Ärger mit der Justiz und Lächerlichkeit eingetragen haben.

   Im Übereifer, die Publizierung gerichtlich erlaubter Überwachungsprotokolle künftig zu unterbinden, haben die Formulierer des "Knebelgesetzes" drastische Strafen vorgesehen, nämlich Geldstrafen bis zu 200.000 Euro, die geeignet sind, nicht nur Blogger, sondern auch kleine Pressemedien zu ruinieren. Man braucht nicht selbst zu zitieren: es reicht, wenn man auf Zitate anderer Medien verweist, um sich strafbar zu machen. Kein Wunder, dass der öffentliche Aufschrei Premier Renzi gezwungen hat, den Gesetzentwurf noch einmal überprüfen zu lassen.

   In Brüssel treffen nun deutsche Datenschützer und italienische Knebelungsgegner aufeinander, beide als Vorkämpfer der Grundrechte stilisiert.  Die Deutschen meinen Privacy und Demokratie, die Italiener Meinungsfreiheit und Verbrechensbekämpfung. Wie sollen sie jemals eine gemeinsame Basis finden?

   Warum sind die Italiener so versessen auf Überwachung und Datenspeicherung?  Sie haben erfahren, dass das wichtigste Beweismittel in allen Mafiaprozessen und Politskandalen der letzten Jahre die Telefonmitschnitte waren. In einem Land, in dem die organisierte Kriminalität der grösste Wirtschaftssektor ist und die Kaste der Politiker als notorisch korrupt gilt, glaubt man, auf dieses entscheidende Beweismittel nicht verzichten zu können. Zumal die Italiener als die fleissigsten Telefonierer Europas gelten.

   Man kann vermuten, dass Berlusconi ohne die intercettazioni, die Mitschnitte, womöglich heute noch an der Macht wäre oder erneut an der Schwelle zu ihr stände. Ohne die Telefonprotokolle wäre die Justiz machtlos in ihrem Sisyphus-Kampf gegen die Nadelstreifen-Kartelle der Cosa Nostra, Ndrangheta, Camorra und Sacra Corona Unita, die seit langem mit Erfolg das Wirtschaftszentrum im Norden Italiens unterwandern. Selbst mit Hilfe des Telefonmitschnitts ist es nahezu unmöglich, den Augiasstall der Provinzpolitik auszuräumen, wie gerade jetzt die Regionalwahl in der neapolitanischen Region Kampanien wieder zeigt, wo Saubermann und Premier Matteo Renzi erleben musste, dass sein Kandidat Vincenzo De Luca von der Antimafia-Kommission als "impresentabile", als nicht-kandidierbar weil verdächtig, abqualifiziert  wurde. Zwar wurde De Luca gewählt, doch seiner Amtseinführung stehen zwei Gesetze entgegen.

   In einem solchen  Land ist die Rückkehr zu einem Zustand ohne Telefonüberwachung undenkbar. Nicht die Angst vor dem Terror wie in Deutschland ist das Motiv der Überwachung: es ist vor allem die Angst der Italiener vor anderen Italienern -- solchen wie Berlusconi, zum Beispiel. Oder wie jenem hohen Politiker in Rom, der seinerzeit das Erdbeben in L'Aquila im vertraulichen Telefonat als eine Chance begrüsste, viel Geld zu machen.

Benedikt Brenner

Update

Der Europarat verurteilt das Knebelgesetz, weil es die Mafia und die Korruption fördert

Damit ist der Entwurf eines Gesetzes zur Einschränkung der Telefonüberwachung zum dritten Mal international abgelehnt worden. Nach den USA und der OECD sprach sich die Staatengruppe gegen die Korruption (GRECO) gegen das Gesetz aus, weil  "in Italien Politiker aus persönlichen Gründen Gesetze billigen, die die Korruption und die Mafias unterstützen."

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/06/30/“il-ddl-intercettazioni-favorisce-mafia-e-corruzione”/34349/

 

 

 

  

Non è vero che non si è fatto nulla sulla spesa pubblica. Pesanti sono stati gli interventi sugli investimenti, l’impiego pubblico e gli acquisti di beni e servizi. Ma la dinamica della spesa pensionistica continua a essere eccessiva. Anche prima della sentenza della Consulta.
 
 

   

I numeri della spesa pubblica

 

   La recente sentenza della Corte costituzionale ha generato un ginepraio di commenti sulla sostenibilità delle finanze pubbliche e sul diritto o meno dei pensionati a vedersi riconosciute interamente le promesse fatte nel passato. È poi ripartita l’accusa ai governi di oggi e del passato di non aver fatto nulla per mettere a posto i conti, con i quotidiani che riportano con scadenza quasi giornaliera i dati sulla crescita incessante della spesa pubblica. Che certo, cresce sempre o quasi sempre. Ma in parte l’aumento dipende dall’evoluzione dei prezzi, e soprattutto ciò che conta davvero per la sostenibilità delle finanze è la crescita del Pil, perché questo rappresenta una misura di quanta spesa pubblica il paese può permettersi di finanziare tramite le imposte.


   È allora utile dare un’occhiata ai numeri per fare chiarezza. Lo facciamo con due figure, riprese dal 
Rapporto sulla programmazione del bilancio dell’Ufficio parlamentare di bilancio, appena pubblicato, e rimandando alla lettura del Rapporto per maggiori dettagli.
La figura 1 presenta le voci principali dei conti delle amministrazioni pubbliche (cioè, la somma dei conti consolidati di amministrazioni centrali, amministrazioni locali e enti di previdenza) in rapporto al Pil, dal 2007 al 2014, ultimo anno disponibile. Si tratta in sostanza di tutta la spesa pubblica primaria, cioè al netto degli interessi sul debito.

 

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   La figura è abbastanza chiara. La pressione tributaria è cresciuta di un paio di punti (nel 2011), dal 28,5 al 30,5 per cento, e poi è rimasta inchiodata lì, mentre i contributi sociali si sono mantenuti più o meno costanti, al 13 per cento del Pil, per tutto il periodo. Dunque, la pressione fiscale (tributi più contributi) ha raggiunto il 43,5 per cento del Pil nel 2011, per mantenersi poi più o meno costante (con un caveat su cui torno sotto), segno che il riequilibrio della finanza pubblica è passato sicuramente anche attraverso un accresciuto peso del fisco.

Dove si è intervenuti

 

   Ma che è successo alla spesa pubblica? Davvero non si è fatto nulla? La spesa in conto capitale si è praticamente dimezzata, passando da quasi il 5 per cento del Pil a circa il 3 per cento. Qui abbiamo dunque sicuramente tagliato, anche se non è ovvio che ce ne dobbiamo rallegrare, visto che, scandali e corruzione a parte, alla spesa in conto capitale è legato il mantenimento e l’ammodernamento delle infrastrutture, senza le quali si fa fatica a ritornare a crescere.

   E la spesa corrente? Quella per i dipendenti pubblici e l’acquisto di beni e servizi, dopo una lieve crescita nel momento più duro della crisi nel 2009 (quanto il reddito reale si è ridotto di oltre 6 punti in un anno) ha ripreso un trend decrescente e nel 2014 è sul Pil di poco superiore a quanto fosse nel 2007, cioè attorno al 18 per cento.

   Non malissimo, visto che il Pil reale nel frattempo si è ridotto di oltre il 9 per cento e l’inflazione è cresciuta più o meno nella stessa misura, cosicché il Pil nominale del 2014 non è molto diverso da quello del 2007. Segno che blocco degli stipendi e del turnover per l’impiego pubblico insieme alle varie misure di riduzione della spesa per gli acquisti qualche effetto l’hanno avuto, riducendo pesantemente questa componente della spesa in termini reali.

   Al contrario, la spesa per le prestazioni sociali in denaro è cresciuta di circa 4 punti rispetto al Pil, passando da circa il 17 a circa il 21 per cento. Dentro questa voce ci sono le pensioni, che ne costituiscono oltre l’80 per cento, e vari interventi di protezione sociale, inclusi il pagamento del Tfr, la cassa integrazione, l’indennità per malattia e infortuni, gli assegni familiari e altro ancora. Qui dentro ci stanno anche gli 80 euro mensili del governo Renzi (ecco il caveat precedente): se volessimo interpretarli come riduzione di imposte (come insiste il governo) invece che come maggiore spesa, ridurrebbero la pressione fiscale nel 2014 di qualche decimo di punto.

   Naturalmente, non è strano che la cassa integrazione sia notevolmente cresciuta durante la crisi (triplicando in termini nominali), visto che si tratta di una componente ovviamente legata al ciclo. Se e quando il paese uscirà dalla recessione, la cassa integrazione o qualunque cosa la sostituirà in futuro, si ridurrà automaticamente.

   Quello che preoccupa invece è la spesa pensionistica che, nonostante la legge Fornero e i vari provvedimenti presi durante la crisi, compreso il blocco della rivalutazione recentemente bollato come anti-costituzionale dalla Consulta, ha continuato su un trend crescente anche durante la lunga recessione.

   La ragione naturalmente è che questa spesa è legata, da un lato, all’invecchiamento della popolazione e, dall’altro, ai diritti definiti dalla legislazione, compreso l’adeguamento automatico all’inflazione, e se non si interviene su questi (piaccia o meno alla Consulta) non c’è nulla da fare, resta incomprimibile.

   A riprova, si consideri la seguente figura, sempre ripresa dal Rapporto dell’Ufficio di bilancio.

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   La figura riporta la crescita nominale per vari periodi delle diverse componenti di spesa pubblica, anche con uno sguardo al futuro, fino al 2019. Se il tasso di crescita di redditi da lavoro e degli acquisti di beni e servizi si è praticamente azzerato nell’ultimo quinquennio, mentre era attorno al 5 per cento annuo nel periodo 2000-2009, quello della spesa per le prestazioni sociali in denaro, pur riducendosi, è rimasto attorno al 2 per cento l’anno. Il risultato di questi andamenti differenziati è che la crescita della spesa pubblica primaria è stata di poco superiore all’1 per cento l’anno nell’ultimo quinquennio, contro oltre il 4 per cento nel decennio precedente: sicuramente una bella decelerazione.

   Il governo intende mantenere lo stesso profilo di crescita per la spesa primaria nei prossimi cinque anni. Ma il problema è che le stime disponibili, anche prima dell’intervento della Consulta, prevedevano una crescita della spesa pensionistica (oltre il 30 per cento della spesa pubblica corrente) attorno al 2,7 per cento all’anno per il prossimo quinquennio. Il che significa che le altre componenti di spesa, su cui si è già intervenuti pesantemente, dovrebbero aumentare meno o ridursi proporzionalmente per mantenere il tasso di crescita previsto. Come ci riusciremo, è un mistero.

Massimo Bordignon   LaVoce.info

 

   Nach einem Besuch des Jüdischen Museums Berlin vor etlichen Jahren machte ich mich auf die Suche nach den Spuren meines Onkels Anton Mayer und entdeckte, dass er als "Halbjude" zwar verfolgt und ermordet wurde, aber in keinem Holocaust-Register erwähnt wird. Ich besuchte seinen letzten Wohnort Kleinmachnow vor den Toren Berlins und fragte im Rathaus nach dem alten Einwohnerregister. Man antwortete mir, man könne mir zu Anton Mayer nichts sagen, die Gemeinde habe kein altes Register mehr; ich solle es beim Land Brandenburg versuchen. Ich schrieb das Land an; man antwortete, man wisse nichts über Anton Mayer.

   Jahre später fand ich in www.berlinstreet.de/2033 einen Artikel " Das Schicksal der Berliner Juden während der Nazizeit" und schrieb dazu folgendes:

 

KOMMENTARE:

 

  1. Heinrich von Loesch am 6. Februar 2013 um 12:49 Uhr

    Mein Onkel muetterlicherseits Anton Mayer, Schriftsteller, zuletzt wohnhaft in Kleinmachnow, wurde nach Theresienstdt verschleppt und dort 1944 ermordet : »an Lungenentzuendung verstorben« laut Mitteilung des KZ an meine Tante Selma Mayer, geb. Fuerst.

    Anton Mayer, Roman- und Musikschriftsteller, war Freund und zeitweise Finanzier von Rudolf G. Binding. Aus einer Leipziger Bankiersfamilie stammend, war er kgl. Saechsischer Dragoneroffizier im I. Weltkrieg. Nach der Inflation verarmt, schrieb er gerne preussische Heldenbiografien. Als »Halbjude« hinterliess er keine Spuren in den offiziellen Dokumentationen des Holocaust. Kleinmachnow weiss nichts von ihm; auch das Land Brandenburg kennt ihn nicht. Traurig, dass ein so bedeutendes Mitglied des Berliner Kulturlebens spurlos verschwunden ist. Als sein Neffe scheint mir, dass ich der Letzte bin, der sich an ihn erninnert. 

   Um etwa die gleiche Zeit hatten jedoch ein paar junge Aktivisten in Kleinmachnow eine sehr lobenswerte Initiative "Stolpersteine" gestartet, deren Existenz ich erst kürzlich entdeckte.

Spuren der Nachbarn - Nachrichten Potsdam-Mittelmark

www.pnn.de/pm/643368/

Sechs neue Stolpersteine erinnern an Kleinmachnower Opfer des NS-Regimes

Kleinmachnow - Die kleinen Steine erinnern an deportierte und ermordete Juden, oder an solche, die trotz Verfolgung überlebten. Bei Arnim Friedenthal ist der Fall komplizierter: 1927 in Berlin geboren, lebte er mit seiner Mutter, einer Nicht-Jüdin, während der NS-Zeit im Elsternstieg 18 in Kleinmachnow. Immer wieder gab es Razzien der Gestapo in dem Haus, immer wieder wurde der Junge von Nachbarn gewarnt, konnte sich bei ihnen verstecken. Doch als die Jahre voller Angst für ihn vorüber waren, starb er 1946 mit nur 19 Jahren an einer schweren Krankheit.

Am gestrigen Donnerstag verlegte der Kölner Künstler Gunter Demnig für Friedenthal und fünf weitere Kleinmachnower Juden je einen Stolperstein. Mittlerweile gehören die kleinen Messingplättchen im Boden fest zum Kleinmachnower Ortsbild, ihre Zahl ist jetzt auf 21 angestiegen. „Anfangs hat es viel Überzeugungsarbeit gekostet, einige Hauseigentümer wollten zunächst keine Gedenksteine vor ihren Häusern haben“, erinnert sich Martin Bindemann, Diakon der evangelischen Jungen Gemeinde, der das Projekt in Kleinmachnow 2005 initiiert hat. Und auch heute noch missfallen die Gedenksteine offenbar einigen Kleinmachnowern: Im Vorfeld eines Rundgangs entlang der 16 bereits seit 2009 verlegten Steine am vergangenen Samstag war an einigen Stellen Laub und Dreck drübergekehrt worden – obwohl die Arbeitsgruppe sie zuvor extra poliert hatte. Vor anderthalb Jahren wurde sogar ein Stein gestohlen, er ist aber inzwischen ersetzt worden.

Um eben solchen antisemitischen Tendenzen etwas entgegenzusetzen, engagieren sich die beiden 18-jährigen Schülerinnen Astrid Husemann und Lisa Apelt in der lokalen Arbeitsgruppe Stolpersteine, die die Geschichte der deportierten und ermordeten Juden recherchiert. „Bei einer Reise nach Isräl wurde mir bewusst, wie präsent der Holocaust dort für die Menschen noch ist“, erklärt Astrid Husemann. Das habe sie nicht losgelassen, in der Arbeitsgruppe forschte sie zu den Lebensdaten von Samuel Stern. Er wohnte auf der Drift 11, von dort wurde er 1942 im Alter von 74 Jahren nach Theresienstadt deportiert und wenige Wochen später ermordet.

Viel mehr lässt sich über die Verfolgten oft nicht herausfinden, die Nazis hatten 1945 viele Akten vernichtet, die meisten Zeitzeugen, Nachbarn etwa, leben längst nicht mehr – oder zumindest nicht mehr in Kleinmachnow. Aber es gibt Ausnahmen wie etwa Andrea Blancke. Sie gab der Stolpersteingruppe vor vier Jahren den entscheidenden Hinweis zu Anton Mayer, der 1944 im Konzentrationslager Neuengamme bei Hamburg umkam. Weil sein Name häufig vorkommt, tappten Bindemann und seine Mitstreiter lange im Dunkeln. Dabei war der Kunsthistoriker Mayer Schriftsteller, einige Hinweise auf sein Leben finden sich in seinem Buch „Der Göttergleiche“. Doch Aufschluss gab erst die Freundschaft von Blanckes Mutter mit Mayers Frau Anselma Fürst. (gefettet von mir)....Ariane Lemme

 

  Meinen herzlichen Dank an die jungen Leute, die erreichten, was mir nicht gelungen war: Anton Mayers Spuren zu finden. Vielleicht findet sich ja einmal ein junger Wissenschafter, der sich des Werks Anton Mayers als eines bedeutenden Musikschriftstellers und Freundes von Rudolf G. Binding annimmt.  Hier der Begleittext zu dem Stolperstein in Kleinmachnow:

Dr. Anton Mayer wurde am 22.4.1879 in
Berlin geboren. Er wohnte freiwillig in Kleinmachnow in der Kurmärkischestraße 60 (heute: Rudolf-Breitscheid-Straße). Er war Schriftleiter einer Zeitung und Musikwissenschaftier und sehr bekannt unter seinem Synonym Johannes Reinwaldt. Seine Frau hieß Anselma Mayer (geborene Fürst).
Am 19.12.1944 starb er an einer Brustfellentzündung im Konzentrationslager Neuengamme. Seine Häftlingsnummer war 66654.

    Zu dem Kurz-Bio kann ich ergänzen:

   Es war Weihnachten 1944, als das Telegramm von dem KZ ankam. Tante Selma (Schwester meiner Mutter) war nach Antons Verhaftung bei uns auf Schloss Hagenberg in Oberösterreich zu Besuch. Zu dritt gingen wir zur Post um das Telegramm abzuholen -- Tante Selma, meine Mutter und ich. Als wir wieder im Freien waren, öffneten die Damen das Telegramm. Tante Selma weinte, meine Mutter sagte: "Die Schweine, sie haben ihn umgebracht!"  Dann weinten beide.

   Onkel Anton war nicht nach Kleinmachnow gezogen, weil es dort so schön war. Nachdem ihm die Reichsschrifttumskammer Schreibverbot erteilt hatte, hielt er sich nur mühsam über Wasser, notierte beispielsweise die Kochrezepte meiner Mutter um sie zu veröffentlichen. Er konnte sich Berlin nicht mehr leisten und zog nach Kleinmachnow, was keine gute Idee war, denn dort wurde er laut Tante Selma wegen "meckerns" denunziert.

   Ob er von Theresienstadt nach Neuengamme oder direkt dorthin kam, weiss ich nicht.  Die offizielle "Todesursache" sagt wenig aus:  in Neuengamme wurden schwache und kranke Häftlinge mit Benzinspritzen ermordet.

Heinrich von Loesch, Mai 2015

 

   Matteo Renzi, der jugendliche Premier Italiens, bemüht sich mit Hartnäckigkeit, Pragmatismus und Spott, Italien zu reformieren. Wird ihm das Wunder gelingen, die Mauern der Beharrung zu schleifen? Seine Gegner im linken Flügel der eigenen Partei und in den Gewerkschaften lauern darauf, seine Reformen im besten Syriza-Stil rückgängig zu machen. Eine grosse Partie jedenfalls — wer wird sie gewinnen?

   Ganz anders steht es mit Aldi. Wenn der deutsche Discounter, wie er meldet, demnächst nach Italien geht, so ist das zwar eine relativ kleine Partie, doch der Gewinn ist sicher: für Italien und für Aldi. Die österreichische Aldi Süd -Tochter Hofer erklärte, sie wolle in „den nächsten Jahren“ in Italien Fuss fassen.

   Ein Erdbeben im Zeitlupenstil. Wenig Ereignisse könnten Italiens eingerostete Wirtschaft derart umkrempeln wie die Ankunft von Aldi. Gemeinsam mit dem Konkurrenten Lidl, der schon seit 1992 mit inzwischen etwa 600 Filialen in Italien agiert, könnten ein paar hundert Hofer-Filialen die Lebensmittelbranche zu einer Reform zwingen, von der Renzi nur träumen kann.

   In Grossbritannien haben die deutschen Discounter den Riesen Tesco und andere heimische Supermarktketten in Wanken gebracht. In Italien hat die französische Kette Carrefour schon jetzt schwer zu kämpfen; auch die zahllosen kleinen Ketten leiden seit Beginn der Krise 2009 unter dem Rückgang der Ausgaben für Lebensmittel und dem Trend der Verbraucher, sich die Discounter näher anzusehen.

   Ein Montag bei Lidl in der Via della Magliana in Rom. Der Parkplatz ist voll, einer der überall aktiven Bangladeschi stilisiert sich zum Parkhelfer und bietet Einkaufswagen ohne Münze an. Im Laden sind etwa die Hälfte der Kunden Italiener, der Rest Ausländer.

Vor dem Käseregal studiert ein italienisches Pärchen das Angebot und die pseudo-italienischen Eigenmarken: „Glaubst Du, dass die Mozzarella und die Ricotta gut sind? Sie kosten nur die Hälfte. Ob sie wirklich italienisch sind?“

   Deutsche Butter, o.k. Darf teurer sein als die italienische, unbegreiflicherweise. Aber deutsche Marmelade mit italienisch-griechischem Etikett?  Deutsche Schokolade, halb so teuer wie nebenan im Supermarkt? Es hat lange gedauert, bevor sich das Bürgertum in die deutschen Läden traute, sein Misstrauen überwand. Aber die Krise hat den Wandel erzwungen.

   Kein Problem für die Ausländer hier in diesem peripheren, bunt gemischten Viertel. Die zahlreichen Roma aus Osteuropa kennen und lieben Lidl. An der Kasse bezahlt eine mehrköpfige Roma-Familie mit eingerollten Kleingeld-Stangen. Die Kunden warten geduldig in der Schlange, während die ebenso geduldige Kassiererin die Röllchen aufmacht und die Münzen einzeln zählt. Ein grosser afrikanischer Ladendetektiv schaut, ob alles seine Ordnung hat.

   Warum würde Aldis Einstieg in Italien einen Erdrutsch auslösen? Weil Italiens Lebensmittelbranche ineffizient ist und von Rekord-Differenzen zwischen Erzeuger- und Ladenpreis lebt. Wer erwartet hatte, dass die Krise einen Preiswettbewerb der Supermärkte auslösen würde, sah sich weitgehend enttäuscht. Man erhöhte lieber die Handelsspannen und die Preise, als zu konkurrieren. Kein Wunder, dass Lidl und die wenigen einheimischen Discounter profitierten. Nicht auszudenken, was ein Wettbewerb zwischen Lidl und Aldi-Hofer bewirken würde.

   Laut italienischem Statistikamt ISTAT gab die durchschnittliche italienische Familie im Jahr 2013 pro Monat 2.360 Euro für Verbrauch aus,  also für Nahrung, Kleidung, Wohnen, Transport usw.  Davon entfielen 461 Euro auf Nahrung und Getränke, plus weitere 20-30 Euro für Nicht-Nahrungsmittel aus dem Supermarkt.

   Über ein Fünftel des Gesamtverbrauchs der Italiener geht also durch die Kassen der Supermärkte. Gelänge es Aldi, Lidl & Co, die Supermärkte zu zwingen, diese Ausgaben um ein Viertel zu senken, so wäre die Familie um 120 Euro im Monat reicher, was einem Kaufkraftzuwachs von 5 Prozent entspricht.

   Wenn man bedenkt, dass dafür mehrere Jahre und der Bau hunderter Läden erforderlich sind, sehen die 5 Prozent eher bescheiden aus. Das sind sie aber nicht, denn zwei Drittel oder mehr der Verbrauchsausgaben sind durch Fixkosten wie Wohnung, Ausbildung und Transport gebunden. Betrachtet man das frei verfügbare Einkommen, dann werden aus den 5 Prozent Kaufkraftzuwachs leicht 15 Prozent, bei Familien mit niedrigem Einkommen sogar mehr.

   Da Rentner, Arbeitssuchende, prekär Beschäftigte und Personen, die es aufgegeben haben, Arbeit zu suchen, zusammen nicht nur mehr als die Hälfte der Italiener, sondern auch potentielle Discounter-Kunden darstellen, kann man die Rolle von Aldi, Lidl & Co kaum überschätzen.

   Premier Matteo Renzi wäre jedenfalls gut beraten, Aldi und möglichen anderen Discountern den roten Teppich auszurollen. Sie können ihm eine seit Jahrzehnten von Christdemokraten und Berlusconi verschleppte,  überfällige Reform des Lebensmittel-Einzelhandels liefern, ohne dass es ihn ausser dem üblichen Streit mit den Gewerkschaften auch nur einen Euro kostet.

Benedikt Brenner

For more years than most observers care to remember, the Middle East was a boiling pot with actors and events often defying common logic. Small wonder that all sorts of conspiracy theories flourished. This piece by an unidentifiable author constitutes an amusing attempt to ascribe political trends to the alleged transcendental efforts of some major actors. (Ed)

 

   The Middle East crisis was initiated with the clash between two poles, each with high global potential and a strategic importance in the world.
The Western pole involved the new conservative of George W Bush Jr and what he stood for, while the Eastern pole involved Ahmedi Nejad (Mahmoud Ahmadinejadand Hizbullah.

     If you observe the Middle East crisis in order the to understand the reasons and the reactions of the chain of events taking place there from the Khomeini revolution in Iran to Iraq's invasion, the Lebanon crisis to the upheaval in Turkey, Yemen, Jordan and Egypt, you will see that there is a definite trend of events that has led to the crisis in Middle East.

     George W Bush's Neo Conservative party supported the Constructive Chaos Theory and very passionately tried to implement it in order to manipulate events to serve a biblical purpose. They wanted to expedite the process of the second coming of Jesus in association with the end of days. In contrast, Ahmedi Najad and Hizbullah followed another ideology whose objective was to speed up the coming of Imam Mehdi, al Wali al Faqih that the Shiites believed in. This concept is shared by most of the Muslims all over the world who have their own beliefs based on this ideology.

     On the other hand, the Jewish state of Israel has its own concepts; they strive to make use of this conflict by amplifying its results to achieve their own goal of re-building the Temple of Solomon on the ruins of Al-Aqsa Mosque so that they can emerge as the chosen nation of God.

     This is a highly complex issue and many strategy consultants Middle East have tackled this subject by doing comparative studies and interpreting them based on the prophesies and beliefs based on the end of days.

     In the eyes of many political consultants, each nation is trying to speed up the process of the coming of their savior by initiating "constructive chaos" in the region of Middle East to achieve their goal. Many people have also observed the comments made by Ahmedi Najad in public to Hosny Mubarak and criticized him for using excessive force on the protestors and demonstrators even though similar demonstrations were dealt in the same manner in Tehran.

     Also it is witnessed that there is clear Iranian support to Hizbullah in Lebanon, al Hythiene (Houthis?) in Yemen and Hamas in Palestine. This has also helped Iran as it serves as a hindrance to any military strike to stop their nuclear program. Israelis may also get some benefit from this chaos which can serve them to go ahead with their plan to recreate Solomon's Temple.

     Arabs have a chance to enjoy democracy if they learn from the past and it might end up with a positive outcome.

 

 

About the Author

Juhanah Abir is a political consultant working forhttp://i-strategic.com/services/

http://www.artipot.com/articles/1883727/the-middle-east-crisis.htm