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Il Territorio libero di Trieste era una sottile striscia della costa occidentale della penisola istriana, tra il fiume Timavo e il fiume Quieto 

 

Per gli italiani Trieste era la "città irredenta" per antonomasia, per gli austriaci la finestra dell'Impero sul Mediterraneo, per gli slavi il polmone della Slovenia 

 

Su che cosa dunque fosse il TlT, gli studiosi discutono ancora. Non era più Italia, non era Jugoslavia, ma non era neanche uno stato.

 

   Sarebbe dovuto essere uno stato cuscinetto fra Italia e Jugoslavia previsto dal trattato di pace del 1947, posto sotto l'egida delle Nazioni Unite per evitare che i due stati confinanti si accapigliassero per farne un solo boccone. Invece, non andò così: la questione del TlT rimase una spina del fianco di Italia e Jugoslavia fino al 1954 - data in cui il memorandum di Londra cercò di accomodarla in via pratica - venne ufficialmente risolta solo con il trattato di Osimo nel 1975 e suscita ancora qualche tardiva passione.

   La vicenda del TlT è stata uno degli ultimi sussulti attraverso i quali si è definito nel secolo scorso il confine orientale italiano. Nel comporre quelle spinte e controspinte si sono accavallati vari tipi di contrasti: le rivalità di potenza prima fra Italia e Austria-Ungheria e poi fra Italia e Jugoslavia, gli antagonismi nazionali fra italiani, tedeschi, sloveni e croati corposamente intrecciati ad interessi di classe, le conflittualità strategiche ed ideologiche della guerra fredda.

   Prima del primo conflitto mondiale, i territori fra il fiume Isonzo e lo spartiacque alpino i tedeschi li chiamavano Litorale austriaco, gli italiani Venezia Giulia, mentre gli slavi li dividevano fra Litorale sloveno e Istria croata.

    Per gli italiani Trieste era la "città irredenta" per antonomasia, per gli austriaci la finestra dell'Impero sul Mediterraneo, per gli slavi il polmone della Slovenia e, magari, di un nuovo stato degli slavi del sud. Attorno a tali differenti letture della realtà fiorivano studi più o meno scientifici, si narravano miti assai suggestivi, si componevano odi e spartiti musicali, si infiammavano i cuori e si mobilitavano le masse. Insomma, un bel concentrato, nell'ambito di una minuscola regione adriatica, delle linee di faglia che stavano per scatenare i grandi sismi dell'Europa centrale.

   Il primo scossone favorì l'Italia, che dopo la Grande guerra annesse l'intera regione. Del loro trionfo, gli italiani non fecero un uso assai saggio. Il regime fascista si diede con grande impegno ad opprimere quella che era diventata la minoranza slovena e croata in Italia, con il chiaro intento di nazionalizzare integralmente il territorio dello stato.

   Non era un proposito molto diverso da quello degli altri stati per la nazione europei, ma la sua gestione da parte di un regime di per sé oppressivo contribuì ad alimentare un robusto irredentismo sloveno e croato e ad inculcare nelle menti delle sue vittime una funesta equivalenza fra italiani e fascisti.

   Per giunta, lo stato di Mussolini fallì clamorosamente il suo obiettivo nazionalizzatore, vuoi per la resistenza all'assimilazione delle popolazioni rurali, vuoi per i limiti stessi di un sistema meno totalitario di quanto il Duce avrebbe desiderato.

    Anche il secondo scossone sembrò inizialmente beneficare l'Italia, che nel 1941, dopo aver fatto a pezzi la Jugoslavia assieme a tedeschi, ungheresi e bulgari, annesse la Slovenia meridionale, la Dalmazia e, di fatto, puranco il Montenegro. Contro i "ribelli" alla nuova situazione le truppe italiane mostrarono una spietatezza non inferiore a quella germanica.  Due anni dopo però, nel settembre del 1943, l'Italia andò a gambe all'aria, trascinando nel crollo non solo il recentissimo confine imperiale, ma anche quello uscito dal primo conflitto mondiale, che i patrioti italiani avevano interpretato come la quarta guerra di indipendenza.

   Seguì il caos. La regione venne posta sotto il diretto controllo germanico e si trovò risucchiata nelle terribili logiche di violenza del fronte orientale e della guerra di liberazione / guerra civile / rivoluzione jugoslava: ed ecco le stragi di "nemici del popolo" che gli italiani chiamarono foibe (dal nome delle cavità carsiche in cui venivano spesso gettati i cadaveri), la politica del terrore tedesca, gli attentati, il campo della morte della risiera di san Sabba con il suo forno crematorio.

   Gli italiani passarono di colpo dal dominio all'impotenza. Il potere lo avevano i nazisti, il contropotere i partigiani comunisti jugoslavi. Alcuni italiani si schierarono con i primi, altri con i secondi.  Per gli italiani fu l'inizio della "catastrofe dell'italianità adriatica", mentre sloveni e croati vivevano un'epopea risorgimentale i cui sanguinosi contorni fratricidi sarebbero stati a lungo obliati.

   Mentre le frontiere di stato fluttuavano, quelle all'interno della società si irrobustivano.  I principali gruppi nazionali si percepivano reciprocamente come una minaccia mortale. Anche gli internazionalisti, cioè i comunisti, si trovarono a dover scegliere fra Italia e Jugoslavia: per quelli sloveni e croati, ovviamente, il problema non si poneva, mentre quelli italiani finirono anche loro per schierarsi con la Jugoslavia che stava costruendo il socialismo piuttosto che con l'Italia destinata a rimanere capitalista.

   E l'Italia dalla guerra uscì sconfitta e duramente punita: oltre a cancellarne per sempre le ambizioni di potenza - il che non fu affatto un male - il trattato di pace assegnò alla Jugoslavia quasi tutta la Venezia Giulia, lasciando in Italia solo la parte meridionale della provincia di Gorizia. Città simbolo dell'italianità adriatica, come Zara, Fiume e Pola, furono perdute.

   Dopo la radicalizzazione estrema dei conflitti nazionali avvenuta negli anni precedenti, accadde agli italiani residenti nei territori passati alla sovranità jugoslava quel che già era avvenuto ai greci in Anatolia, ai tedeschi in Polonia e Cecoslovacchia, ai polacchi in Ucraina, solo per citare alcuni dei più noti fra gli spostamenti forzati di popolazione novecenteschi.  Le modalità furono diverse, secondo il paradigma degli esodi piuttosto che delle deportazioni o delle espulsioni, ma il risultato fu il medesimo: la scomparsa quasi completa di un gruppo nazionale autoctono.

   Sospeso rimaneva invece il futuro di Trieste, la cui sorte non dipese dalle dispute locali ma dagli interessi delle grandi potenze. All'Unione Sovietica, poco interessata al Mediterraneo, premeva semplicemente mostrare il proprio sostegno all'amico regime jugoslavo di Tito.

   Stati Uniti e Gran Bretagna erano invece fermamente intenzionati ad evitare che l'unico porto dell'Austria finisse in mano jugoslava, cioè sovietica.  La prima conseguenza fu l'internazionalizzazione, ma si trattava solo di un espediente temporaneo. Un anno dopo, inglesi e americani si convinsero che il TlT non sarebbe stato vitale e che, in tempi di guerra fredda, sulla garanzia delle Nazioni Unite non bisognava fare troppo affidamento.

   La soluzione alternativa era a portata di mano: il trattato di pace aveva previsto che fosse il Consiglio di sicurezza a nominare il governatore - profumatamente pagato - del nuovo staterello.

   Nel frattempo, l'area sarebbe stata amministrata dalle forze armate che già vi stazionavano fin dall'immediato dopoguerra, e cioè dagli anglo-americani nella zona A, con Trieste, e dagli jugoslavi nella zona B.

   Dunque, bastava non mettersi d'accordo sul nome del governatore ed il gioco era fatto. Dopo un po' di schermaglie, i sovietici capirono che aria tirava e lasciarono perdere, anche se formalmente la nomina sarebbe rimasta all'ordine del giorno del Consiglio di sicurezza fino al 1975.

   Su che cosa dunque fosse il TlT, gli studiosi discutono ancora. Non era più Italia (su questo solo alcuni giuristi italiani non sono d'accordo). Non era Jugoslavia. Ma non era neanche uno stato, perché mancava di tutti i requisiti della sovranità. Dunque, che cos'era? Forse nulla: res nullius, come dicono i giuristi. Però, non era affatto scomparso dalla faccia della terra: la gente ci viveva e, abbondantemente, ci litigava.

   Nella zona B vennero instaurati i "poteri popolari" e chi veniva considerato "nemico del popolo" se la passava davvero male. Non casualmente, quasi tutti gli italiani lo erano.

   All'inizio facevano eccezione i comunisti, che erano considerati "italiani buoni e onesti": ma erano pochini e rimasero sconvolti quando, nel 1948, scoppiò la controversia fra Tito e Stalin che portò all'espulsione della Jugoslavia dal Cominform. Ovviamente, si schierarono con Stalin e si ritrovarono trattati come i peggiori nemici del regime.

   Nella zona A, la funzione del Governo militare anglo-americano era quella di difendere la democrazia liberale, però senza concederla alla popolazione, perché c'erano troppi comunisti in giro.

   Così, per la prima volta si votò appena nel 1949, beninteso solo per le amministrazioni locali, ed il GMA mostrò sempre la tendenza a reagire con grande vivacità - e salve di fucileria - a qualsiasi tentativo di sfidarne l'assoluto controllo, venisse dai comunisti o dai patrioti italiani.

   A differenza delle autorità jugoslave in zona B però, oltre al bastone il GMA sapeva usare anche la carota. Trieste fu inondata dai fondi dell’Ente per la ricostruzione europea, usati per combattere la disoccupazione a prescindere dall'effettiva sostenibilità economica delle nuove imprese.

   Inoltre, i militari americani erano pieni di dollari e la zona A altrettanto piena di bar, sale da ballo, stabilimenti balneari e belle ragazze, parecchie delle quali riuscirono anche a farsi sposare. Nella zona B, invece, si faceva la fame.

   La rottura fra Stalin e Tito mutò peraltro completamente il ruolo internazionale della Jugoslavia: non più longa manus di Mosca verso il Mediterraneo, ma possibile cuscinetto strategico dell'Occidente nei Balcani.

   Agli inizi degli anni Cinquanta quindi, Washington e Londra cominciarono a premere su Italia e Jugoslavia affinché mettessero da parte le precedenti rivalità in nome dell'interesse comune.

   Non fu per niente facile ma alla fine, nell'autunno del 1954, riuscirono ad inventare una soluzione abbastanza fantasiosa. Un memorandum firmato a Londra previde infatti che l'amministrazione della zona A passasse dal GMA al governo italiano e quella della zona B dal governo militare jugoslavo al governo jugoslavo.

   In questo modo, di fatto il TlT veniva spartito fra Italia e Jugoslavia ma ufficialmente, e con una certa faccia tosta, i governi di Roma e di Belgrado potevano dichiarare alle proprie opinioni pubbliche di non aver rinunciato alle loro rivendicazioni sul resto del Territorio.  Il trucco funzionò e negli anni Sessanta quello fra Italia e Jugoslavia divenne "il confine più aperto d'Europa" fra uno stato comunista ed uno capitalista.

   Formalmente, rimaneva ancora qualche ombra e nel 1975 i due governi, entrambi preoccupati per il "dopo Tito", decisero di cancellarla con il trattato di Osimo, che sanciva ufficialmente il confine italo-jugoslavo. Delle antiche dispute le opinioni pubbliche dei due paesi si erano ormai scordate.

   Si lamentarono - ovviamente - le associazioni degli italiani che erano dovuti esodare dalla zona B ed anche a Trieste vi furono proteste, ma l'Italia stava vivendo gli anni di piombo e l'attenzione era altrove.  Non per questo scomparvero d'incanto le ferite della memoria, che anzi continuarono a suppurare sino alla fine della Jugoslavia. I nuovi scenari del dopo guerra fredda non influirono sugli assetti di confine tra l'Italia e i suoi nuovi vicini orientali, perché rimettere in discussione quelle frontiere avrebbe significato gettare l'Italia nell'inferno delle guerre jugoslave e questo, dopo qualche incertezza, lo compresero anche i nazionalisti più sfrenati.

   Le memorie divise e occultate in nome del buon vicinato e della stabilità continentale erano invece lì, pronte a rivendicare il loro spazio, come in tante altre parti dell'Europa post-'89. Per gestirle, Italia, Slovenia e Croazia seguirono in successione due vie contraddittorie: prima - negli anni Novanta - quella delle commissioni bilaterali di esperti storici, poi - dopo il 2004 - quella della creazione di giornate memoriali.

   Quest'ultima, come non era difficile prevedere, ha soddisfatto i bisogni di riconoscimento di molte delle vittime delle contese novecentesche, ma ha suscitato altrettante polemiche, che hanno finito per coinvolgere addirittura i vertici dei tre stati.

   Un tanto però, nessuno se lo poteva permettere, mentre la strategia generale dei tre governi era quella dell'integrazione europea. Le diplomazie quindi si sono date da fare per spegnere ogni focolaio d'incendio, organizzando due solenni giornate di riconciliazione, l'una a Trieste nel 2010 e l'altra a Pola (ora appartenente alla repubblica di Croazia) nel 2011.

   Comunque, nonostante la forte ripresa d'interesse, politico e storiografico, per le vicende del confine adriatico registratasi nell'ultimo quindicennio, nessuno ha più tirato in ballo il fantasma del TlT, fino ad anni recentissimi: in questi tempi di crisi economica infatti, a Trieste un gruppetto di nostalgici alquanto folcloristici ha deciso di impugnare nuovamente il vessillo del Territorio libero, convinto che vivere a Topolinia sarebbe un ottimo modo per eludere le tasse, che in Italia, com'è noto, sono assai alte per chi le paga.

Raoul Pupo -- eutopia

 

 

 

 

 

 

Letture di approfondimento:

 

 

Marina Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, Bologna, Il Mulino 2007.Franco Cecotti, toghether with Dragan Umek, Il tempo dei confini. Atlante storico dell’Adriatico nord-orientale nel contesto europeo e mediterraneo 1748-2008, Trieste, IRSMLFVG 2011.Egidio Ivetic, Un confine nel Mediterraneo. L'Adriatico orientale tra Italia e Slavia (1300-1900), Roma, Viella 2014.Raoul Pupo,The Italo-Slovenian Historico-Cultural Commission, in "Contemporary History on Trial. Europe since 1989 and the Role of the Expert Historian", edited by Harriet Jones, Kjell Őstberg, Nico Randeraad, Manchester, Manchester University Press 2007.

 

 

 

 

 

   The vast scale and chillingly orchestrated nature of tens of thousands of enforced disappearances by the Syrian government over the past four years is exposed in a new report by Amnesty International: "Between prison and the grave: Enforced disappearances in Syria" reveals that the state is profiting from the disappearances through a black market in which family members desperate to find out the fates of their relatives are r exploited for cash.

 
The government’s enforced disappearances are part of a coldly calculated, widespread attack against the civilian population. These are crimes against humanity, part of a carefully orchestrated campaign designed to spread terror and quash the slightest sign of dissent across the country.
Philip Luther, Director of Amnesty International’s Middle East and North Africa Program: “This report describes in heart-breaking detail the devastation and trauma of the families of the tens of thousands of people who have vanished without trace in Syria, and their cruel exploitation for financial gain.”

   The scale of the disappearances is harrowing. The Syrian Network for Human Rights has documented at least 65,000 disappearances since 2011 – 58,000 of them civilians. Those taken are usually held in overcrowded detention cells in appalling conditions and cut off from the outside world. Many die as a result of  disease, torture and extrajudicial execution.

   Enforced disappearances have become so entrenched in Syria they have given rise to a black market in which “middlemen” or “brokers” are paid bribes ranging from hundreds to tens of thousands of dollars, by family members desperate to find out the whereabouts of their loved ones or whether they are even still alive. Such bribes have become “a big part of the economy” according to one Syrian human rights activist. A lawyer from Damascus also told Amnesty International the bribes are “a cash cow for the regime… a source of funding they have come to rely on”.

    Those forcibly disappeared include opponents of the government such as demonstrators, human rights activists, journalists, doctors and humanitarian workers. Others have been targeted because they are believed to be disloyal to the government or because their relatives are wanted by the authorities.

   In some cases, especially in the last two years, enforced disappearances have been used as a means to settle scores or for financial gain, further fuelling the cycle of disappearances.

   Some families have sold their property or given up their entire life savings to pay bribes to find out the fate of their relatives – sometimes in exchange for false information. One man whose three brothers were disappeared in 2012 told Amnesty International he had borrowed more than US$150,000 in failed attempts to find out where they are. He is now in Turkey working to pay back his debts.

   “As well as shattering lives, disappearances are driving a black market economy of bribery which trades in the suffering of families who have lost a loved one. They are left with mounting debts and a gaping hole where a loved one used to be,” said Philip Luther.

   Family members who try to inquire about disappeared relatives are often at risk of arrest or being disappeared themselves, which gives them little choice but to resort to using such “middlemen”. One man who asked the authorities about his brother’s whereabouts was detained for three months and spent several weeks in solitary confinement. Another man who went to Damascus to look for his disappeared son was arrested at a military checkpoint on the way and has not been heard from since.

Amnesty International

 

   Während Deutschland von Masseneinwanderung überrollt wird und die Meinungen, was denn von dieser Völkerwanderung zu halten sei, aufeinanderprallen, zeichnet in Italien die Statistik ein freundliches, eher gemütliches Bild der Folgen der Einwanderung für Gesellschaft und Wirtschaft.

   Das offizielle "Dossier Einwanderung 2015" bezieht sich auf das Jahr 2014  und zeigt, dass die Kriminalität der Ausländer sinkt, während die der lokalen Bevölkerung steigt, dass die Fremden weniger Kinder haben als im Vorjahr, und dass sie dem Fiskus mehr Einnahmen bringen als der Staat für Neuankömmlinge ausgibt.

   Die Zahl der in Italien wohnhaften Ausländer, nämlich rund fünf Millionen, entspricht ziemlich genau der Zahl der ausgewanderten Italiener, die in letzter Zeit wegen der Krise stark gestiegen ist. Im Jahr 2014 haben 155.000 Italiener das belpaese verlassen und eine andere Staatsangehörigkeit angenommen, während nur 92.000 Ausländer eingebürgert wurden. Mehr als 30.000 illegale Einwanderer wurden 2014 aufgegriffen und über die Hälfte von ihnen "repatriiert".

   Während zwischen 2004 und 2013 die Delikte der Ausländer um 6 Prozent zurückgingen, stiegen die der lokalen Bevölkerung um 28 Prozent.  Nach wie vor ist der Anteil der Ausländer an den Gefängnisinsassen mit 33 Prozent zwar hoch, doch er ging seit 2010 um 4 Prozent zurück.

   Im Jahr 2013 leisteten die Einwanderer ein Beitrag von 123 Milliarden Euro oder 9 Prozent zum Brutto-Inlandsprodukt. Das bedeutet pro Kopf, dass die Wertschöpfung der Fremden fast dem Durchschnitt der Italiener entspricht. Überdies zahlen die Einwanderer jährlich 7-8 Milliarden Euro in die Sozialkassen ein, sind jedoch oft nicht in der Lage, ihre Rente zu beanspruchen und schenkten dadurch der Rentenkasse geschätzte 3 Milliarden.

   Obwohl die Ausländer in der Ortswahl flexibler sind als die Italiener und weniger angenehme Arbeit akzeptieren, werden sie eher entlassen und sind häufiger arbeitslos als die Einheimischen, was sich erneut in der Krise zeigte. Der Verlust der Arbeit zieht oft den Verlust der Aufenthaltserlaubnis nach sich, so dass in den letzten Jahren über 150.000 Arbeitslose Italien verlassen mussten.

   Rund 53 Prozent der Einwanderer erklären sich als Christen, 32 Prozent als Moslems. Mehr als die Hälfte der Einwanderer sind Europäer, davon über eine Million Rumänen und eine halbe Million Albanier. Danach folgen Marokkaner, Chinesen und Ukrainer. Mit 15 Prozent aller Geburten sind die überwiegend jungen Einwanderer fruchtbarer als die Italiener, aber ihre Geburtenzahl ging seit 2013 um 3,4 Prozent zurück.

   Die italienischen Daten, so interessant sie sind, können nur bedingt zur Interpretation der jetzigen Lage in Deutschland dienen. Auch muss man bedenken, dass viele tausende Illegaler in Italien leben, ohne der meist faulen Polizei aufzufallen. Allein in Rom leben tausende Bangladeshi, die jeden fliegenden Verkaufsstand, jeden Flohmarkt, jede Tankstelle und ungezählte Restaurantküchen und selbst Chinaläden bevölkern. Tausende Marokkaner verhökern saisonal ihre Waren an den Badestränden, ohne offizielles Dokument. Die Senegalesen-Mafia, die gefälschte Markenware an Touristen verkauft, die Chinesen in Prato, die undokumentiert in den sweatshops arbeiten...eine wirklich glaubhafte Ausländerstatistik existiert in Italien nicht.

   Für Deutschland bietet Italien dennoch interessante Vergleiche. Wer es dort schafft, eingebürgert zu werden, muss entweder hartnäckig oder wohlhabend sein. Italienische Lebensart erleichtert die Integration, ethnische Ghettos finden sich nur in den grössten Städten und sind auch bei Italienern beliebt wegen der guten Restaurants und der billigen Läden. Der hohe Anteil der Europäer und Christen lässt bei ihnen den Drang zur Ghetto-Bildung garnicht aufkommen. Eritreer, Somalis und Libyer bringen aus der Kolonialzeit einige italienische Kultur mit. Dass dennoch so viele der jetzigen Migranten Italien nur als Durchgangsland ansehen, hängt mit den spärlichen staatlichen Leistungen, der maladen Wirtschaft und der hohen Arbeitslosigkeit vor allem der Jugend zu tun.

Benedikt Brenner

 

   Telegram is a new mobile and desktop messaging service based in Berlin, Germany, created in 2013 by Russian entrepreneurs, Nicolay and Pavel Durov. Telegram focuses on privacy by offering end-to-end encryption and timed self-destruction. A new feature called “Channels” lets users broadcast to other members of the service. It quickly made Telegram the favorite social media of Daesh (IS or ISIS), al-Nusra and other jihadis, particularly because it offers a guarantee of permanence.

   “It is this new feature that has been enthusiastically embraced by many militant groups, becoming an underground railroad for distributing and archiving jihadi propaganda materials,” says TRAC, the Terrorism Research and Analysis Consortium. "As of Nov. 2, TRAC has recorded more than 200 major jihadi channels. Half of them belong to ISIS. Other major players in the jihadi world, from al Qaeda in the Arabian Peninsula to Jabhat al-Nusra to Ansar al-Sharia in Libya to Jaysh al-Islam, are increasingly creating their own channels. The rate of membership growth for the channels has been staggering, quickly climbing to about 150,000 total members, the report concludes."

   Telegram's chat feature is now a prime recruiting venue. In addition, the messaging service also permits a superior way of transferring funds, "a virtual encrypted Hawala system offering new ways to transfer and receive crypto-currency", as TRAC describes it. Telegram is easy to handle and more convenient than Twitter. By subscribing to a Telegram channel not only messages can be instantly exchanged but newly arriving items are announced by an acoustic signal.

   Although Telegram offers the average Joe an unprecedented level of privacy, free of snooping by NSA and its likes, it also renders the work of terrorism watchdogs virtually impossible. 

Heinrich von Loesch

Update

Telegram allegedly says it is deleting chats and sites linked to Daesh (IS). No quotable sources found.

-- ed

  Per ridurre l’evasione dell’Iva, va limitato l’uso del contante. Ma come? Si potrebbe proporre alle famiglie di ritirare solo una piccola somma ogni mese, effettuando la maggior parte dei pagamenti con strumenti tracciabili. Il premio sarebbe una detrazione del 3 per cento. I guadagni per lo Stato.

Iva: la grande evasione

   Gran parte dell’evasione dell’Iva, e di conseguenza di altre tasse, proviene da un utilizzo abnorme del contante, che rende possibili i pagamenti in nero. Nel 2013 l’evasione Iva ammontava a 47,5 miliardi di euro su 141,5, un terzo del totale. Per contrastare l’evasione Iva, si studiano perciò misure che limitino l’uso del contante, da sostituire con strumenti tracciabili.

   Le misure suggerite sono essenzialmente quattro: tassare il prelievo di contante; ridurre l’Iva per i pagamenti tracciati; detrarre tutti gli acquisti del consumatore, come per i medicinali; limitare il contante nel singolo acquisto.

Nessuna di queste sembra convincente. La prima, perché è impossibile, nel breve periodo, eliminare totalmente il contante, per motivi pratici e abitudini radicate. La seconda, perché l’unico modo per risultare conveniente, rispetto alla frode, sarebbe di detrarre del tutto l’Iva. La terza, perché, se applicata a tutte le spese, sarebbe molto macchinosa. Senza evitare che, per alcune, il cittadino possa spendere in nero. La quarta, perché difficile da controllare.

   Vediamo un approccio diverso, senza focalizzarsi sulla singola transazione, ma considerando tutte quelle eseguite dal contribuente in un anno fiscale.

Famiglie con contante limitato

   La famiglia media italiana spende circa 2.500 euro al mese, 30mila euro all’anno.
La proposta è di incentivare le famiglie a ritirare contante per un massimo di 500 euro al mese, all’anno 6mila euro, per le piccole spese giornaliere. Le famiglie che accettano questo vincolo godranno dei benefici previsti, per tutte le altre non cambierà nulla.

   Qual è il beneficio? È una detrazione del 3 per cento (ma potrebbe essere anche il 5 per cento) di quanto viene speso in modo tracciabile: non solo attraverso le carte, dunque, ma anche bonifici, Mav, Rav, assegni e Rid.

   Mediamente una famiglia italiana virtuosa spenderà 24mila euro con questi mezzi e 6mila in contanti. Dai 24mila bisogna però levare le spese che, anche se tracciate, sono indirizzate allo Stato (tasse e multe) e i trasferimenti (assegni o bonifici) indirizzati a privati, ad esempio familiari. Diciamo altri 4mila euro anno. La famiglia virtuosa perciò spenderà, in modo tracciabile e detraibile, 20mila euro all’anno e avrà in detrazione, in dichiarazione dei redditi, mediamente 600 euro, se la detrazione è del 3 per cento (mille se è del 5 per cento)

   Le detrazioni tuttavia si applicano ai singoli, e dunque il principio descritto va a loro riportato. Il limite per un single potrebbe essere di 400 euro mese, per una coppia di 600. Il limite per la coppia è ovvio, altrimenti sarebbe facile aggirare la norma: si potrebbe avere un coniuge virtuoso e l’altro che invece ritira contante e paga in nero.

   Il limite del contante è mensile e viene sanzionato perdendo il diritto alla detrazione, anche se viene superato in un solo mese, perché potrebbe essere quello in cui si consuma la frode.

   Perché la detrazione si applica su tutte le transazioni complessivamente? Sulla singola transazione è impossibile essere più convenienti della possibile frode, mentre su un complesso di pagamenti, generalmente regolari, non vale la pena perdere i benefici.

   In alcuni casi, la famiglia potrebbe comunque trovare non conveniente il comportamento virtuoso, ad esempio se effettua una spesa importante: su una ristrutturazione di 50mila euro, pagando in nero, potrebbe evaderne 5mila. Tuttavia per queste spese sono già previsti incentivi generosi che portano il contribuente a eseguire un pagamento tracciabile. E anzi, si potrebbe pensare di escludere dal beneficio questo tipo di spese.

   La misura funziona senza che il cittadino faccia niente: se rispetta il limite sul contante acquisisce automaticamente la detrazione, se non lo rispetta la perde.
Le banche invece dovranno fare qualcosa: trasmettere ogni mese all’Agenzia delle entrate l’importo totale speso elettronicamente da ogni cittadino e quello ritirato in contante. L’Agenzia delle entrate farà le verifiche sui codici fiscali dei cittadini e su quelli di una famiglia.

   Il costo della misura è proporzionale al numero dei cittadini che decidono di adottarla. Il suo costo massimo è di circa 15 miliardi con detrazione del 3 per cento (25 milioni di famiglie per 600 euro), circa 25 miliardi con detrazione del 5 per cento.

   È possibile aggirare la norma? Sì.

  1. a) Con qualche salto mortale, la famiglia che ritira 600 euro al mese in contanti, può costruire una riserva da spendere in nero e avere comunque diritto alla detrazione.
  2. b) Ci potrebbero essere persone che rinunciano alla detrazione, per tornaconto, o anche solo per favorire qualcuno. I trasferimenti a privati sono ammessi e le cifre non vengono conteggiate per le detrazioni: la frode ci sarebbe qualora il beneficiario ritirasse l’importo in contanti e lo restituisse al mittente per spese in nero.

   Rimane, infine, una forte componente di contante circolante che non rientra nel circuito bancario e utilizzabile per operazioni in nero.

Guadagni per lo Stato

   Si possono trarre conclusioni quantitative sugli effetti di questa norma? Ipotizziamo che la metà delle famiglie italiane, circa 12,5 milioni, diventi virtuosa e applichi la norma. Con un rimborso di 600 euro medi a famiglia, il costo per lo Stato sarebbe di 7,5 miliardi (12,5 miliardi se il rimborso fosse di mille euro).

   Quanto si ridurrebbe l’evasione dell’Iva? Se le 12,5 milioni di famiglie rispecchiassero perfettamente la composizione sociale della società, l’evasione si ridurrebbe della metà, circa 24 miliardi, con un guadagno per lo Stato di 16 miliardi con detrazione del 3 per cento e di circa 11 con detrazione del 5 per cento.

   Applichiamo a questi calcoli un fattore di correzione del 30 per cento, per comportamenti scorretti e per un eventuale sbilanciamento del campione verso i virtuosi. Lo Stato ci guadagnerebbe sempre: circa 11 miliardi con detrazione al 3 per cento, quasi 8 miliardi con detrazione al 5 per cento. Senza contare che l’emersione dell’Iva porterebbe a quella di altre tasse, come Irpef, Ires, Irap, contributi.

Nuccio Pellicanò -- lavoce.info