L’arrivo di migranti in Italia ha permesso di mantenere un vantaggio comparato nei settori tradizionali. Ma ha anche contribuito a rimandare la ristrutturazione verso settori più avanzati. Più lontano il paese di provenienza, più semplice la mansione dei lavoratori immigrati. Un’occasione persa.
 

Immigrazione e lavoro

   Nel nostro paese l’immigrazione ha avuto caratteristiche molto peculiari rispetto ad altre economie avanzate. Anche se la percentuale di stranieri in Italia è più bassa rispetto ad altri paesi europei, il fenomeno migratorio è stato particolarmente intenso e variegato. La quota degli stranieri si è infatti più che triplicata tra il 1990 (2,9 per cento della popolazione residente) e il 2010 (7,9 per cento), mentre per Francia e Germania tale quota è aumentata in misura molto minore (rispettivamente dal 10,4 all’11,6 per cento e dal 7,4 all’11,9 per cento).
   Il tema più analizzato in relazione all’incremento dei flussi migratori è quello relativo alle possibili conseguenze salariali e occupazionali che una più alta popolazione di migranti può avere su quella dei nativi. I migranti “rubano” il lavoro ai nativi o ne determinano un abbassamento del salario?    L’ampia produzione scientifica sul fenomeno sembra ormai concludere che un eventuale effetto di sostituibilità riguarda solo i segmenti del mercato del lavoro meno qualificato (a bassa scolarizzazione). Francesco D’Amuri e Giovanni Peri in un articolo che uscirà sul Journal of European Economic Association, suggeriscono che nelle economie europee l’effetto sui salari dei nativi è pressoché nullo (e comunque non negativo).

 Più manifattura e meno servizi

   Tuttavia, il rapido afflusso di nuova e così eterogenea manodopera potrebbe avere altri effetti sull’economia del nostro paese. In un lavoro recente abbiamo mostrato che l’afflusso di nuovi migranti – in genere caratterizzati da un produttività relativamente più elevata in mansioni semplici – ha favorito la crescita di settori produttivi che impiegano con maggiore frequenza lavoratori che svolgono mansioni semplici.
    Utilizzando i dati dei permessi di soggiorno e del valore aggiunto disaggregato su diversi settori produttivi a livello provinciale, le nostre stime – relative al periodo 1995-2006 – evidenziano come in quelle province in cui l’incidenza della migrazione sulla popolazione è aumentata, si sono osservati un aumento significativo del valore aggiunto complessivo, ma anche una crescita notevole del valore aggiunto delle manifatture rispetto a quello dei servizi avanzati (nell’ordine del 13-19 per cento quando il rapporto tra il numero dei permessi di soggiorno e la popolazione provinciale raddoppia).
   Il nostro studio evidenzia un altro interessante risultato collegato alla diversità della migrazione in Italia. La crescita relativa delle manifatture diviene più marcata in quelle province in cui i migranti provengono da paesi che sono significativamente diversi dal nostro, sia in termini di reddito pro-capite, sia di livello di scolarizzazione, cioè in quelle province in cui vi è una maggiore divergenza nelle produttività relative tra lavoratori italiani e migranti. Al contrario, quando i paesi di origine sono più simili al nostro, non si evidenzia nessun effetto statisticamente significativo sulla composizione della struttura produttiva.
   In conclusione, l’effetto della migrazione sulla struttura produttiva è materia complessa e può essere letta sia in chiave positiva che negativa. Da una parte, ha permesso ai settori tradizionali di mantenere un vantaggio comparato che altrimenti non avrebbero potuto conservare data la competizione internazionale e l’impossibilità di avvantaggiarsi di strumenti svalutativi come in passato. Dall’altra, ha contribuito a rimandare una ristrutturazione verso settori più avanzati congelando la nostra economia in una struttura produttiva e di export di tipo tradizionale.

Il quadro normativo

   Tutto questo è avvenuto in un quadro normativo di gestione dell’immigrazione ben poco lungimirante e attento alle conseguenze economiche. Le politiche di accoglienza e di integrazione dovrebbero incentivare l’impiego dei migranti in mansioni non solo semplici, ma anche complesse in cui mostrano produttività più elevata e vantaggi comparati. Si pensi solamente all’abilità linguistica nel penetrare i paesi di origine, estremamente importante in una nazione con provata vocazione a esportare come l’Italia.
   I nostri risultati muovono in altra direzione, mostrano che il fenomeno migratorio ha favorito il sistema economico, ma relativamente di più nei settori tradizionali che più utilizzano mansioni semplici e routinarie. Si è persa quindi l’opportunità offerta dall’ingresso di persone diverse da noi. La diversità e l’eterogeneità culturale sono sempre foriere di innovazioni e opportunità, un aspetto chiaramente dimostrato in una vasta letteratura economica. Ora, da più parti si invoca una revisione della legge Bossi-Fini. È bene tener conto anche di questo aspetto quando se ne valuteranno i risultati e si proporrà una sua riforma, che dovrà riguardare non solo gli ingressi o la cittadinanza, ma anche le politiche per accompagnare l’inserimento nella società e nell’economia italiana.

Giuseppe De Arcangelis, Edoardo Di Porto e Gianluca Santoni--laVoce.info

 English

 Die Sommer-Sonnenwende am 21. Juni wird weltweit gefeiert.  Die merkwürdigste dieser Feiern ist jedoch das Hundefleisch-Fest von Yulin in China.

An diesem Tag werden Millionen Menschen in der Stadt Yulin riesige Mengen Fleisch verzehren: kein Rindfleisch, kein Schweinefleisch sondern,  horribile dictu, Hunde- und Katzenfleisch.  Tausende Hunde und Katzen, nicht nur Streuner, sondern auch Zuchttiere und gestohlene Haustiere werden getötet bzw. lebend gekocht, um sie leichter häuten zu können.

Offiziell ist das Fest von der Regierung verboten. doch fehlt die Durchsetzung. In illegalen Märkten wird das Fleisch verkauft ohne Rücksicht auf die tödliche Gefahr von Krankheiten wie Tollwut und Trichinen als Folge des Verzehrs von rohem oder unvollkommen gekochtem Fleisch. Auch vergiften einige Hundefänger die Tiere.

Das Fest zieht steigende Zahlen von protestierenden Aktivisten aus China und dem Ausland an. Offenbar wurde Yulin zu einer touristischen Attraktion und es wurde berichtet, dass einige Metzger sogar drohen, Tiere besonders grausam zu töten, wenn die Aktivisten kein Lösegeld für die Freisetzung zahlen.

Yulin ist jedoch nur die Spitze des Eisbergs. Der Verzehr von Hunden und Katzen ist in China nicht verboten. und man schätzt, dass jährlich etwa 20 Millionen Hunde verspeist werden. Das Problem besteht auch in Vietnam und Korea; nur Taiwan hat den Verzehr von diesen Haustieren verboten.

Es gibt mehrere Petitionen gegen das Yulin-Fest auf dem Internet, die zunehmend in den sozialen Medien unterstützt werden. Eine solche Petition ist diese.

 

Einige Links:

 

   Virtually all European media are running articles speculating about the likely impact of a Grexit or a default without Grexit on the Eurozone and the global economy.

   However, there is another, political aspect to be taken into consideration. Is it desirable to keep Greece with its current government in the Eurozone?

   Let us face it: Syriza is dominated by a bunch of crypto-communists, trotskyites and anarchists who may individually be very likeable people but as a group are fitting into modern Europe about as well as a Salafist or a fascist government.

   It is quite remarkable that conservative politicians such as Merkel or Juncker have engaged in weeks of discussions with these hot-headed radicals dreaming of defeating "capitalism" and establishing their version of a Socialist paradise. It must be very trying for a Christian Democrat politician, for instance, to consider any concession to a government located at the opposite end of the political spectrum.

   It is obvious that the Greeks would love Syriza if it succeeds in imposing its will on the "institutions".  A successful Syriza could dominate Greek politics for years to come. Cheeky as they are, once Greece is saved, Syriza would attempt to impose its views on Brussels, to manipulate the Eurozone and the European Central Bank. A trouble maker par excellence.

   The question would arise: how much Greece can Europe support? The experience of the past few weeks is not encouraging.

Ihsan al-Tawil

deutsch 

 

   Summer solstice on June 21st is celebrated the world over. The weirdest of these celebrations, however, is the Yulin Dog Meat Festival in China.

 

   On this day, millions of people in the city of Yulin will consume huge quantities of meat: no beef, no pork but, horribile dictu, dog and cat meat.  Thousands of dogs and cats, not only strays but also farmed ones and stolen pets, will be killed or boiled alive to facilitate skinning.

 

   Officially, the festival has been banned by the government but no action is taken. Illegal markets sell the meat irrespective of the lethal danger of contracting diseases such as rabies and trichinosis from raw or poorly cooked meat. Also, some dog catchers poison the animals.

 

   The festival is drawing growing numbers of protesting activists from China and all over the world. The event has apparently made Yulin a tourist attraction and some butchers are said to threaten to kill animals publicly in specially cruel ways unless the activists pay ransom for freeing the poor beasts.

 

   However, Yulin is only the top of the iceberg. Eating dogs and cats is not forbidden in China, and a estimated 20 million dogs are consumed every year. The problem also exists in Viet Nam and Korea. Only Taiwan has banned pet meat consumption.

 

   There are several petitions to stop the Yulin festival on the Internet which are gaining social media support and can be signed, for instance here.

 

Update

The Independent (U.K) reported on this year's Yulin festival.   Read this report here.

 

 

Some links:

 

    Demokratie-verwöhnten Mitteleuropäern fällt es oft schwer, die Logik und Funktionsweise einer Militärdiktatur zu verstehen, vor allem, wenn sie wie die von Abdel Fattah al-Sisi in Ägypten durch eine weitgehend freie Wahl begründet wurde. Nicht nur in Entwicklungsländern sind Militärdiktaturen häufig anzutreffen, auch am Rande Europas gab es sie vor kurzem und gibt es sie noch heute, Beispiel Weissrussland.

   Als Ägypten 1952 seine erste Diktatur der jungen Offiziere erlebte, ging es noch relativ zivil zu. Gamal Abdel Nasser, dem der Verfasser dieser Zeilen persönlich begegnete, war ein intelligenter und freundlicher Herr, der zwar angeblich Hitlers Mein Kampf auf dem Nachttisch liegen hatte, aber beweisen liess sich das nicht. Die Moslembrüder mochte er nicht, denn sie versuchten 1954 ihn während einer Kundgebung zu töten, stritten aber ihre Schuld später ab. Er rief die durch die Schüsse in Panik geratene Masse zur Ruhe und sprach die berühmten Worte: "Ich werde für Eure Sache leben und für Eure Freiheit und Ehre sterben. Lasst sie mich töten, ich sorge mich nicht, so lange es mir gelungen ist, Euch Stolz, Ehre und Freiheit zu bringen."

    Er liess tausende Moslembrüder verhaften und acht von ihnen zum Tode verurteilen Er begnadigte später den zu 25 Jahren Zwangsarbeit verurteilten Gründer der Bruderschaft, Sayyed Qutb, um ihn jedoch nach einem weiteren Prozess 1966 hängen zu lassen. Diese Vorgeschichte muss man kennen, wenn man die heutige Diktatur in Ägypten verstehen will.

   Noch einen Feind machte Nasser aus und verfolgte ihn: die Kommunisten. Um es auf eine Kurzformel zu bringen: Ägyptens Militär war und ist noch heute gegen Islamisten und Kommunisten. Daran hat sich in sechzig Jahren nichts geändert. Die Islamisten sind die gleichen wie damals: die Moslembrüder, jetzt Terroristen genannt. Die Kommunisten haben sich gewandelt: sie heissen jetzt Aktivisten für Freiheit und Demokratie, und ihr Symbol ist der Tahrir-Platz. Die damaligen Kommunisten und die heutigen Aktivisten haben eins gemein: sie mögen keine Militärdiktatur.

   Die Offiziere, von Nasser über al-Sadat und Mubarak zu al-Sisi sind von der gleichen Überzeugung beseelt: dass nur das Militär qualifiziert ist, das Land am Nil zu regieren und in die Moderne zu führen. Dass für das Militär dabei eine dicke Scheibe des Sozialprodukts abfällt, erscheint ihnen als gerechter Lohn für die Mühe, die Elite der Nation zu sein.

   Braucht Ägypten denn ein Militär? Seit Camp David hat das Land keine äusseren Feinde mehr. Eigentlich braucht die Regierung nur eine bewaffnete Polizei, um die diversen Sektierer, Terrormilizen und Kriminellen zu bekämpfen. Da die Polizei aber unzuverlässig und korrupt ist, tritt an ihre Stelle das Militär als Ordnungsmacht im Inneren, die Stabilität für Jahrzehnte schaffen will. Dadurch verschmelzen Militär und Staat, werden eins. Wer gegen die Offiziersherrschaft ist, ist gegen den Staat, mithin ein Hochverräter, der keine Gnade verdient. Das ist die Logik von Abdel Nasser bis zu al-Sisi. Das ist durchaus paternalistisch gemeint: wer die Militärherrschaft akzeptiert als die beste aller schlechten Lösungen, dem soll es gut gehen in dem erhofften stabilen, sich wirtschaftlich entwickelnden Ägypten.

   Dass al-Sisi auf sechs Jahrzehnten Tradition und einer gewachsenen Beamtenschaft aufbauen kann, hilft ihm ebenso wie das einjährige Chaos, mit dem sich die Bruderschaft während Morsis Präsidentschaft disqualifiziert hat. Al-Sisi sitzt also fest im Sattel und könnte sich erlauben, mit seinen echten oder eingebildeten Feinden gnädiger umzugehen. Bislang tut er es nicht. So wie al-Qutb letztlich nach Jahren doch gehängt wurde, so droht auch Morsi -- einer intellektuell viel bescheideneren Figur -- die Todesstrafe.

   Wie Putin in Russland und Erdoğan in der Türkei schwimmt al-Sisi auf eine Woge der Zustimmung. Doch die Ägypter sind launisch. Denselben Morsi, den sie mehrheitlich gewählt hatten, warfen sie nach einem Jahr aus dem Amt und jubelten seinem Feind zu. Wer weiss, was passiert wenn al-Sisi die Wirtschaft nicht wie versprochen ankurbeln kann, wenn die Golfstaaten müde werden, das korrupte ägyptische System zu subventionieren?  Offenbar will al-Sisi jede mögliche Opposition ausrotten und demoralisieren, so lange die Stunde günstig ist.

   Wenn man besser verstehen will, was sich in Ägypten abspielt, so lohnt es sich, einen Blick auf ein Sortiment vergangener Militärdiktaturen in der Mittelmeer-Region zu werfen. Algerien und die Türkei, aber auch Syrien unter Assad senior bieten sich an. Algeriens Beispiel ist von besonderer Bedeutung für Ägypten. Ein 1991 begonnener schleichender, aber blutiger Bürgerkrieg zwischen Militär und Islamisten endete erst, als die erschöpften Islamisten-Kämpfer die ihnen im Jahr 2000 gebotene Amnestie mehrheitlich annahmen.

   Was das Selbstverständnis der Offiziere als Retter der Nation anlangt, ist jedoch eine andere Diktatur interessantes Vorbild: die der Obristen in Griechenland von 1967 bis 1974. Kurz vor einer Wahl, die entweder zu einer Beteiligung der Linken an der Regierung oder zur Verhängung von Kriegsrecht durch den König führen konnte, putschte am 21. April das mittlere Offizierskorps, geführt von Brigadegeneral Stylianos Pattakos zusammen mit den Obristen Papadopoulos und Makarezos. Ihr Putschplan funktionierte perfekt, innerhalb von 24 Stunden hatten sie ganz Griechenland in der Hand. Über zehntausend Menschen wurden verhaftet, darunter alle Politiker; wesentliche Teile der Verfassung wurden aufgehoben. Dem König Konstantin schien nichts übrig zu bleiben, als den Putschisten die Regierung zu übertragen. Er versuchte zwar noch einen Gegenputsch, scheiterte aber damit und musste ins Exil fliehen.

   Nun hatten die Putschisten freie Hand, das Land nach ihrem Gutdünken zu regieren und zu manipulieren. Hier beginnt die Analogie zum Geschehen in Ägypten. Die Obristen hatten kein Problem mit der Religion, im Gegenteil. Es gelang ihnen, den Konservativen klar zu machen, dass sie das Land vor dem Kommunismus und dem manipulativen König und seiner Hofkamarilla gerettet hätten. Von nun an war das Militär das Mass aller Dinge und das nationale Vorbild. An den Hauswänden, an Felswänden, überall erschien in grossen Lettern der Slogan Zyto o Stratos -- Es lebe das Militär!  Gleichzeitig bemühte man sich, Griechenlands Geschichte zu reinigen und die Erinnerung an die Jahrhunderte osmanischer Dominanz zu tilgen. Worte türkischen Ursprungs sollten aus der Sprache verchwinden, ebenso türkisch klingende Namen. Aus dem Yachthafen Turkolimano in Piräus wurde Mikrolimano, "der kleine Hafen".  Die chauvinistische Aufrüstung erinnerte fatal an das Dritte Reich Deutschlands, das dekretierte, dass New York "Neuyork" heissen sollte. Wenig erfolgreich war die Kampagne der Obristen, die reiche linke Literatur und Musik Griechenlands zu bannen und ihre Originale zu vernichten.

   Betrachtet man die Entwicklung in Ägypten, so sind ähnliche Trends erkennbar. Al-Sisi geriert sich erfolgreich als Retter des Vaterlands vor Islamisten und Linksaktivisten. Er schwimmt auf einer Welle des Nationalismus. Während eine Hand mit aller Härte die Brüder und ihre Mitläufer unterdrückt, sorgt die andere Hand für universale Frömmigkeit der sunnitischen Massen und Bestrafung allen unfrommen Verhaltens. Vielleicht gerade weil die Brüder im Internet behaupten, al-Sisi sei jüdischer Abstammung und habe einen Verwandten in der Knesset, ist das Regime zwar demonstrativ islamisch gesinnt, mehr als zu Nassers oder Mubaraks Zeiten, lässt Minderheiten wie den Kopten aber volle Freiheit.

   Wie die Obristenherrschaft in Griechenland wird al-Sisis Junta weltweit kritisiert. Doch es gibt auch Gegenstimmen. So wie CSU-Ahnherr Franz Josef Strauss ein Fan der Obristen war, so hat sich CDU-Generalsekretär Volker Kauder lobend für al-Sisi eingesetzt. Gefiel Strauss die Härte der Hellenen gegen die Linken, so scheint Kauder von der klaren Kante gegen die Islamisten (und die linken Aktivisten?) angetan zu sein. Tempora mutantur...

   Die Obristen hätten Griechenland vielleicht noch länger regieren können, hätten sie sich nicht aus panhellenischem Nationalismus in das Zypern-Abenteuer verstrickt, das zur Invasion des türkischen Militärs und zur Abtrennung Nordzyperns führte. Das griechische Marionettenregime in Südzypern kollabierte und mit ihm die Obristenherrschaft in Athen.

   Angesichts der anhaltenden Unruhe in Ägypten und dem Terror der islamistischen Abtrünnigen auf dem Sinai ist al-Sisi gut beraten, keine Abenteuer ausserhalb der Landesgrenzen zu suchen. Seine Unterstützung der offiziellen libyschen Regierung in Tobruk und ihres Armeechefs al-Haftar läuft auf kleiner Flamme. Ägypten mit seinem grossen Heer und seiner schlagkräftigen Luftwaffe könnte viel mehr leisten, aber Erfahrung hat in mehreren Ländern gezeigt, dass Heere im Einsatz gegen sunnitische Extremisten erstaunliche Schwächeanfälle erleben können. Besser nicht ausprobieren...

   Eine neue Entwicklung zeigt sich in Ägypten, die al-Sisi zu denken geben sollte: die rebellische links-demokratische Jugend sympathisiert zunehmend mit ihrem ehemaligen Feind, der islamistischen Jugend.  Die Tahrir-Kämpfer aus dem Dunstkreis der nahe gelegenen Amerikanischen Universität (an der der Verfasser dieser Zeilen selbst studiert hat) haben nie verwunden, dass ihr Sieg über Mubarak nicht ihnen, sondern den Moslembrüdern in den Schoss fiel, die ihre Macht prompt dazu einsetzten, die Jünger der ehrwürdigen Universität zu verfolgen. Die Sieger als Verfolgte, jetzt zum zweiten Mal, denn ursprüglich wurde al-Sisi auch von der Tahrir-Jugend bejubelt, als er den verhassten und inkompetenten Morsi stürzte.

   Nun aber beklagen Laizisten und Islamisten ihre gemeinsame Unterdrückung durch das Militär. Das schafft zwar noch keine Freundschaft, aber fliessende Grenzen, etwa in Gestalt gewisser islamistischer Demokraten, die weder mit den Brüdern, noch mit den Offizieren sympathisieren. Al-Sisi tut gut, dieser Jugend mehr Raum zu geben, denn die Obristenherrschaft in Athen scheiterte nicht nur wegen Zyperns, sondern auch wegen des Studentenaufstands im Polytechnikum Athen 1973, bei dem die Regierung Panzer einsetzte und es 24 tote Zivilisten gab.

   Aber liest al-Sisi Geschichtsbücher? Was liegt wohl auf seinem Nachttisch?

Heinrich von Loesch