Le 16ème sommet de la Francophonie aura lieu les 24 et 25 novembre à Antananarivo, Madagascar. Les Sommets de la francophonie sont des rencontres des chefs d’État et de gouvernement des pays membres de l’Organisation internationale de la francophonie. 

   Le mouvement citoyen Wake Up Madagascar a tenu à faire connaître la réalité du quotidien des malgaches. Le mouvement a organisé un “sit-in” sur une place de la capitale pour interpeller les dirigeants qui vont assister au Sommet et décrit l'objectif de cette manifestation dans une lettre ouverte à la Secrétaire Générale de la Francophonie:


Madame La Secrétaire Générale,
"Nous, citoyens malgaches, sommes honorés d’être les hôtes du 16e Sommet de la Francophonie, bien que l’organisation de l’événement et les mesures prises pour son déroulement sont loin d’avoir acquis l’adhésion de tous. Nous vous souhaitons la bienvenue dans notre humble pays.
Malheureusement, ce Sommet qui se veut fédérateur écarte l’âme même de Madagascar qu’est sa population. Les mesures prises au nom du confort et de la sécurité des prestigieux invités ne servent qu’à cacher la réalité du Malgache de 2016 et pour certains d’entre nous, alourdissent la précarité quotidienne durant la semaine consacrée à la Francophonie.
Par ailleurs, un budget faramineux a été mis à disposition de l’Etat pour l’organisation de l’événement. Cependant, les dépenses occasionnées dans la préparation du Sommet restent opaques et les détails, jalousement gardés par l’Administration. Malgré les incessantes demandes de la société civile et de simples citoyens, le budget y affecté et ses sources sont volontairement laissés flous, laissant planer des doutes et des inquiétudes légitimes."
La lettre ajoute:

"Dans le quotidien malgache, nos citoyens meurent chaque jour dans des cambriolages, dans des attaques à main armée, dans des attaques de dahalo. L’Etat, qui se plie en quatre pour recevoir le sommet francophone, n’agit pas pour les administrés.
Nous nous sentons exclus de notre propre vie, de notre propre ville, de notre propre pays. Et c’est injuste !
Quelle est notre réalité, en 2016 :
- 92% des malgaches vivent en dessous du seuil de pauvreté. Un chiffre terrible qui s”illustre par la difficulté du Malgache lambda à trouver quotidiennement son besoin le plus basique : la nourriture.
- 1.400.000 personnes sont en état d'insécurité alimentaire dans le Sud, dont 840.000 personnes au plus haut niveau d'insécurité alimentaire
- Une insécurité galopante en milieu urbain et en milieu rural
- 7 personnes sur 10 n'ont pas accès à l'eau potable- Les coupures d'eau et d’électricité sont quotidiennes sur tout le territoire, pour ceux qui y ont accès."

Ketakandriana Rafitoson, porte-parole du collectif, explique à RFI le pourquoi le sit-in et les messages portés par les participants:

Et quand il y a un sommet où il s’agit d’inviter des étrangers, l’Etat se plie en quatre pour les accueillir. Mais nous, alors qu’on demande des services publics de base, -par exemple des problèmes d’électricité, de délestage qu’on a au quotidien, l’eau boueuse, les routes qui ne sont pas réparées-, personne ne nous écoute.(La teneur des messages?) : « Je suis les milliers de sans-abris », « Je suis celui qui n’a pas de travail », « Je suis les 1 400 000 Malgaches qui souffrent d’insécurité alimentaire dans le sud ». Les dirigeants veulent jeter de la poudre aux yeux à la communauté internationale tandis que le peuple se meurt.

Aucun chiffre officiel n’a été communiqué non plus sur le coût des dépenses relevées à ce jour. Cette opacité fait partie des réalités malgaches que le mouvement souhaite faire savoir aux  visiteurs de la Francophonie.

 
Update

Madagascar drought: 330,000 people 'one step from famine', UN warns

Food and Agriculture Organisation says 330,000 people are on verge of ‘a food security catastrophe’ following sustained drought that has decimated crops.

 

Dal 2004 a oggi, la percentuale di stranieri sul totale dei denunciati nel complesso è rimasta stabile, ma è cresciuta molto per due reati: gli scippi e le rapine agli uffici postali. Il fenomeno riguarda in particolare le grandi città del Centro-Nord e alimenta le preoccupazioni dei cittadini.

Esercito a Milano?

   Fa discutere la richiesta del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, di un intervento dell’esercito nelle strade della città dopo la morte del trentasettenne Antonio Rafael Ramirez, di Santo Domingo, accoltellato nella zona di piazzale Loreto. Sono giustificate le preoccupazioni di Sala?

   Dal 1992, il tasso di omicidi è continuamente diminuito nel nostro paese e non è mai stato così basso. Tuttavia, negli anni della grande crisi, il numero dei borseggi e dei furti in appartamento è cresciuto.

   Ma l’andamento dei reati non è stato lo stesso in tutta Italia. Analizzando la frequenza di quattro reati nelle grandi città italiane negli ultimi dodici mesi (tabella 1) troviamo conferme e sorprese rispetto a quanto è avvenuto nell’ultimo trentennio. La conferma è che in quelle centro-settentrionali sono più frequenti i reati contro il patrimonio compiuti con l’inganno (ad esempio, borseggi e furti in appartamento), in quelle meridionali i delitti violenti (gli omicidi e le rapine). Le soprese sono che Milano, Torino e Bologna hanno tassi di rapine in pubblica via più alte di tutte le altre (con l’eccezione di Napoli) e che Milano ha un tasso di omicidi di poco inferiore a Palermo e superiore a quello di Genova, Bologna, Firenze, Torino e Roma.

 

Tabella 1 – Tasso per 100 mila abitanti di quattro reati commessi nelle grandi città italiane nel 2015

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Fonte: elaborazioni su dati Ministero dell’Interno

   La richiesta del sindaco di Milano evoca però anche la delicata questione degli immigrati. Il timore che gli stranieri presenti nel nostro paese compiano un numero sproporzionato di alcuni reati rispetto al loro peso demografico è presente da tempo nella popolazione italiana ed è probabilmente cresciuto dal 2014 a oggi con l’arrivo di decine di migliaia di profughi. Da cosa nasce questo timore? Dalla difficoltà di capire e accettare gli altri, i diversi, come alcuni dicono o dall’alto numero di reati (di alcuni tipi di reati) commessi dagli stranieri? Ho sottolineato l’espressione “alcuni tipi”, perché è indubbio che altri reati – quelli detti dei colletti bianchi e dei potenti (corruzione e concussione, appropriazione indebita, insider trading, aggiotaggio) – continuano a essere commessi quasi esclusivamente dagli italiani.

Quali reati commettono gli stranieri

   Per capire se, e in che misura, vi siano stati cambiamenti da questo punto di vista non possiamo basarci sulla presenza degli stranieri negli istituti di pena. In primo luogo perché si entra e si resta in carcere per ragioni del tutto diverse: per custodia cautelare, in attesa di giudizio e in esecuzione di pena, dopo la condanna definitiva. Ma, a parità di reato commesso, la custodia cautelare è imposta più spesso agli stranieri. In secondo luogo, a parità di pena, gli stranieri godono meno degli italiani delle misure alternative e di pene sostitutive della detenzione. I dati migliori che abbiamo sono quelli sulle denunce.
Analizzando l’andamento di dodici reati commessi in Italia dal 2004 a oggi (tabella 2), vediamo che la percentuale di stranieri sul totale dei denunciati talvolta ha subito delle oscillazioni (per i furti in appartamento), talvolta è lievemente aumentata (per gli omicidi) e solo per due – gli scippi e le rapine contro gli uffici postali – ha conosciuto una crescita considerevole. Nel complesso si può comunque dire che la quota di stranieri che ha compiuto questi reati è rimasta stabile in tutto il periodo e sicuramente non ha risentito del forte flusso di profughi.

Tabella 2 – Percentuale di stranieri sul totale dei denunciati, dal 2004 al 2015, per dodici reati

Fonte: elaborazioni su dati del Ministero dell'Interno

Fonte: elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno

   Ma oltre a questa buona notizia, i dati della tabella 2 ne presentano anche una cattiva, che riguarda la frequenza del coinvolgimento degli stranieri in questi delitti. Pochissimi (il 5 o 6 per cento) sono stati e sono tuttora gli immigrati denunciati per una rapina di banca, cioè per il reato più remunerativo. Un po’ di più, ma comunque sempre molto pochi, quelli accusati di aver commesso una rapina contro gli uffici postali. Il che equivale a dire che gli stranieri restano estranei non solo ai reati dei colletti bianchi, ma anche a quelli violenti, predatori, che rendono maggiormente.

   Ma per tutti gli altri delitti la quota degli stranieri sui denunciati è alta, talvolta molto alta. Supera il 25 per cento per gli omicidi consumati, il 30 per cento per quelli tentati e per le lesioni dolose, il 40 per cento per le rapine in pubblica via e quelle contro gli esercizi commerciali, il 50 per cento per le rapine in abitazione, i furti in appartamento e contro gli esercizi commerciali, addirittura il 60 per cento per i borseggi. Come non bastasse, queste percentuali presentano valori ancora maggiori nelle regioni centro-settentrionali. Nelle grandi città, la quota degli stranieri denunciati per un borseggio raggiunge il 74 per cento a Bologna, il 79 per cento a Firenze, il 90 per cento a Milano, il 92 per cento a Roma. Questi, e gli altri dati della tabella 3, ci fanno capire perché, in certi comuni italiani, la quota non può aumentare ancora molto e perché la preoccupazione di molti cittadini sia fondata. È un grande problema irrisolto, che la destra agita da tempo strumentalmente e che la sinistra ignora.

Tabella 3 – Percentuale di stranieri denunciati nel 2015 nelle grandi città italiani per quattro reati

*non significativo Fonte: elaborazioni su dati Ministero dell'Interno

*non significativo
Fonte: elaborazioni su dati Ministero dell’Interno

 

Marzio Barbagli -- LaVoce.info

 

   Die Weltöffentlichkeit ist, was die Türkei anlangt, derzeit in einer misslichen Lage. Die türkischen Medien sind alle gleichgeschaltet, sie flöten die Melodie der Regierung und trauen sich nicht mehr, irgend etwas zu hinterfragen. Die Arbeit der ausländischen Korrespondenten leidet ebenfalls: ihre traditionellen Quellen sind entweder versiegt oder verhaftet. Wer also berichtet glaubhaft über das türkische Geschehen?

   Es gibt nach wie vor die Medien der Bewegung des Priesters Fethullah Gülen, die allerdings stark geschrumpft sind. Die Zeitung Zaman gibt es nur noch in einer türkisch-sprachigen Deutschland/Europa-Ausgabe, unterstützt von türkisch-sprachigen Online-Ausgaben in Deutschland und Frankreich. An die Stelle der englisch-sprachigen Online-Zeitung Today’s Zaman ist das Online-Portal TurkishMinute getreten.

   Die Gülen-Medien berichten über die Türkei in regierungskritischer Weise. Dadurch kommt vieles immer noch an die Öffentlichkeit, das Ankara gerne unter den Teppich kehren würde. Aber wie glaubhaft sind die Gülen-Medien?

   Ein Beispiel ist die gegenwärtig auf TurkishMinute laufende Artikelserie von Abdullah Bozkurt  “Wie Erdogans Familie die Finanzen und Wirtschaft in der Türkei kontrolliert”. Von einem vorzüglichen Journalisten geschrieben, verheerend in seinen Aussagen über Erdogan und seinen Klüngel – vor allem den gegenwärtigen Premier Binali  Yildirim – aber wie glaubhaft ist dies alles aus der Feder eines Gülen-Aficionados? Wieviel ist Fakt, wieviel ist Rache an einem bösartigen Abtrünnigen?

   Vielleicht ist es nützlich, einen Rückblick auf die Rolle Gülens in der türkischen Politik und seine Bedeutung für Erdogans Aufstieg zu werfen.

   Die vergangene Berichterstattung unseres Blattes erlaubt einen solchen Rückblick: 

 

   Erstmals berichtete german.pages.de – Deutsche Rundschau 2008 unter dem Titel “Atatűrks zweite Beerdigung” über Gülen:

In diesen Tagen wird Mustafa Kemal, genannt Atatűrk – Vater der Tűrken – zum zweiten Mal beerdigt. Vielleicht endgűltig. Niemand merkt es, und niemand – ein paar tűrkische Kemalisten ausgenommen – erregt sich darűber. Die Fundamentalisten jubeln im stillen Kämmerlein; auch das merkt niemand.

Ein geräuschloser Erdrutsch, der sich da vor allen Augen vollzieht, gespenstisch. Siebzig Millionen, die von Europa wegdriften Richtung Orient, auf möglicherweise nie wiedersehen.

Kann das wirklich sein?

Es kann. Der Steuermann, dem ein grosses Land folgt, heisst Fethullah Gűlen, lebt in den USA, ist aber im Ausland kaum bekannt. Der 68 Jahre alte, angeblich kranke Prediger ist der Nachfolger von Bediüz-zaman Said-i Kurdi, dem Grűnder der Nur (Licht)-Bewegung, der den Laizismus des Staatsgrűnders Atatűrk von 1926 bis 1960 mit List und Ausdauer bekämpfte.

Während Said-i Nursi, wie er später genannt wurde, einen auf dem Sufismus grűndenden orthodoxen Islam predigte, fand Gűlen eine neuartige Formel, die den Glauben mit wohldosierter Modernität und ökumenischen Aspekten verbindet. Seine neue Formel, sein Charisma als flammender Prediger und seine Geschäftstűchtigkeit haben die Nur-Bewegung zur stärksten und einflussreichsten islamischen Gemeinschaft in der Tűrkei gemacht. Die Nur-Bewegung ist ein Cemat, ein religiöser Orden.

Gűlen predigt die Vereinbarkeit von Glauben, Wissenschaft und moderner Wirtschaft. Er erklärt, dass die Wissenschaft die Richtigkeit der Religion beweise, und dass im Gegensinn die Wissenschaft durch den Glauben gestärkt werde.

Ein moderner Tűrke

Ein moderner Tűrke gemäss Gűlen kann also gläubiger Moslem, Forscher und Unternehmer zugleich sein. Mit diesem Ansatz hat Gűlen die Frommen aus dem Dunkel der Moscheen und Koranschulen herausgeholt und sie in die Welt der Computer, Banken und des Internets integriert. Eine ganze Generation junger Unternehmer aus Anatolien, die sogenannten anatolischen Tiger, hat Gűlens Konzept verwirklicht und damit wesentlich zum Aufschwung der Tűrkei in den letzten Jahren beigetragen. Sie sind fromm, sprechen fremde Sprachen, haben im Ausland studiert, denken und handeln global.

Endlich, freut sich der arglose Beobachter, endlich hat ein einflussreicher Prediger einen moderaten Islam fűr das 21. Jahrhunderts definiert, den ein ganzes Land űbernehmen kann. Endlich gibt es ein Vorbild der Modernisierung, dem die anderen islamischen Völker, die noch in mittelalterlicher Finsternis verharren, folgen könnten. Vom amerikanischen Botschafter in der Tűrkei bis zu den ausländischen Pressekorrespondenten in Ankara preisen alle fremden Beobachter den neuen toleranten, integrationsbereiten und total ungefährlichen Islam.

In der Tat, das tűrkische Beispiel wird zur Zeit sogar in der arabischen Welt mit Interesse, Faszination oder Schauder beobachtet, je nach Standpunkt des Betrachters.

Doch das schöne Bild trűgt

Um Gűlens Sekte einschätzen zu können, muss man zunächst ihre Machtbasis betrachten. Gűlen selbst hat dutzende von Bűchern und hunderte von Videokassetten verfasst, die im Fernsehen gesendet wurden. Seinen Getreuen, den Fethullahcilar, gehören mehrere Zeitungen, darunter Zaman, Vatan, Bugun, Fountain, Yeni Ümit, Sızıntı, und Yağmur, sowie der Fernsehsender Samanyolu und die Hörfunkstation Burc. Gűlens Bűcher sind in ein halbes Dutzend Sprachen űbersetzt worden. Er hat Verlage, Zeitschriften und mehrere Stiftungen gegrűndet, darunter sogar eine Stiftung fűr Journalisten und Publizisten. Űber sein gesamtes Imperium und seine Millionen Gefolgsleute herrscht er allerdings undemokratisch, nämlich mit absoluter Gewalt.

Er hat űber 200 Schulen und Universitäten in der Tűrkei und in rund hundert anderen Ländern gegrűndet, in denen junge Moslems gern gemeinsam mit Schűlern anderer Konfessionen, oft Ausländern, erzogen werden, angeblich in der Absicht, unter den Nicht-Moslems spätere Sympathisanten heranzuziehen.

Dank zahlreicher Schulen und einer besonderen zinsfreien Entwicklungsbank Asya Finans, versucht Gűlen, in den turksprachigen Ländern Zentralasiens die Tűrkei als ein Entwicklungsmodell und den vergleichsweise moderaten anatolischen Islam als Alternative zum arabischen Islam zu empfehlen.

Die rund einhundert Schulen der Gűlen-Gemeinschaft in der Tűrkei lehren das staatliche Curriculum, sind aber besser ausgestattet, weisen besser ausgebildete Lehrer auf und sind daher unter den Wohlhabenden besonders beliebt.

Gűlen zählt fűnf bis sechs Millionen Anhänger in der Tűrkei. Sein Wirtschaftsimperium setzt angeblich Milliarden Dollar im In- und Ausland um. Unter den Abgeordneten der Regierungspartei der Tűrkei sollen dreissig Anhänger des hocaefendi, des „verehrten Lehrers“ sein. Fethullah Gűlen gilt als einer der reichsten Tűrken.

Dass diese machtvolle Maschine nur existiert, um brave, tűchtige Moslems heranzubilden und eine Fusion von tűrkischer Lebensart und anatolischer Religion weltweit zu verbreiten, hat Fethullah Gűlen selbst dementiert.

Verräterische Predigten

Im Jahre 1999 wurde eine Reihe seiner Predigten im Fernsehen gesendet, in denen er seinen Gefolgsleuten erstmals reinen Wein einschenkte. Ziel seiner Bewegung sei es, die Tűrkei in einen islamischen Staat zu verwandeln, der unter dem islamischen Recht der Scharia steht. Um dies zu erreichen, verlangte er von seinen Jűngern folgendes:

Ihr műsst Euch in den Arterien des Systems bewegen, ohne dass Euch jemand bemerkt, bis Ihr alle Machtzentren erreicht habt... Wenn Ihr etwas űberstűrzt, dann wird die Welt uns die Schädel einschlagen, und die Moslems werden űberall leiden, so wie es bei den Tragödien in Algerien und (1982) in Syrien geschah.

Ihr műsst warten, bis ihr die Staatsgewalt voll űbernommen habt, und bis ihr alle verfassungsmässigen Kräfte der Tűrkei auf Eure Seite gebracht habt.

Ich verlasse mich auf Eure Loyalität, mit der Ihr das Geheimnis bewahrt. Ich weiss, wenn Ihr von hier fortgeht, műsst Ihr die Gedanken und Gefűhle, die hier ausgedrűckt wurden, beseitigen, so wie ihr die leeren Fruchtsaftkartons wegwerft.

In einer anderen Predigt sagte Gűlen:

Derzeit herrscht ein schmerzlicher Frűhling, in dem wir leben. Eine Nation wird wiedergeboren, eine, die mit Allahs Willen Jahrhunderte lang leben wird. Sie wird geboren mit ihrer eigenen Kultur und ihrer eigenen Zivilisation. Natűrlich werden wir Schmerz erleiden. Es wird nicht einfach sein fűr eine Nation, die den Atheismus akzeptiert hat, die den Materialismus akzeptiert hat, eine Nation, die daran gewöhnt ist, vor sich selbst davon zu laufen...aber es ist all unser Leiden und die Opfer wert.

Als die explosiven Predigten im Fernsehen gesendet wurden, hattte Gűlen mit amerikanischer Hilfe bereits das Land verlassen und lebt seither in Pennsylvania. Er hat gute Beziehungen zu Washington, denn seine Sekte war durch ihre vielfältigen Aktivitäten in den zentralasiatischen Turkstaaten ein wichtiger Verbűndeter der US-Geheimdienste während des kalten Krieges.

Ein Jahr nach der Sendung seiner Predigten wurde er in der Tűrkei in Abwesenheit des Umsturzversuchs und der Grűndung einer illegalen Organisation angeklagt, die die Tűrkei in einen islamistischen Staat verwandeln wollte. Später wurde der Prozess verschoben, und 2006 änderte die Regierung der islamischen AK-Partei die Terrorgesetze mit dem Ergebnis, dass Fethullah Gűlen freigesprochen wurde.

Der leise Kampf der Da'was

Im Verlauf der Jahre wurde also klar, dass Gűlens Sekte eine Da’wa ist, nämlich ein Orden, der die islamische Weltherrschaft auf sanfte, wenig auffällige Weise anstrebt, ein Jihad im Samthandschuh, wie Paul Stenhouse es formulierte. Woran Gűlen mit vollem Einsatz arbeitet, ist die Schaffung eines grossen Turkreiches von Thrakien bis nach Sinkiang, geeint durch seinen anatolischen Islam und, wie Spötter meinen, mit ihm als Kalifen.

Eine Da'wa entspricht ungefähr der Institution der Propaganda Fide in Rom. Da’was gibt es seit den zwanziger Jahren in mehreren Ländern. Sie geben der Ansicht Ausdruck, dass der Sieg des Islam nicht allein mit Gewalt erreicht werden kann, sondern dass stille Missions- und Unterminierungsarbeit erforderlich ist, vor allem in der christlichen Sphäre, da das Christentum ja schwach und daher reif sei fűr die Űbernahme durch den Islam als dem entscheidenden Schritt zur Weltherrschaft des mohammedanischen Glaubens. Said-i-Nursi drűckte diese Űberzeugung vor etlichen Jahren poetisch aus, als er meinte, der Westen warte auf den Islam.

Damit wird auch verständlich, warum Fethullah Gűlen die Beműhungen der Regierung um einen Beitritt zur Europäischen Union voll unterstűtzt (oder vielleicht sogar initiiert hat). Der Beitritt wűrde dem Islam Tűr und Tor fűr Missionierung im Kernland der Christen öffnen. Ob man sich in Brűssel der religiösen Wurzeln der tűrkischen EU-Begeisterung bewusst ist?

Eine weitere islamische Sufi-Da’wa ist von grosser politischer Bedeutung in der Tűrkei, die Nakshibendi. Diese aus dem 12. Jahrhundert stammende Bewegung hat nicht nur den grossen Said-i-Nursi, sondern auch viele heute wichtige Politiker hervorgebracht, darunter Staatspräsident Abdullah Gűl, Ministerpräsident Recep Tayyip Erdogan, ex-Parlamentssprecher Bűlent Arinc und zahlreiche andere. Auch der frűhere Präsident Turgut Özal war Eleve der Nakshibendi, wie auch der ehemalige islamistische Premier Necmettin Erbakan, der Grűnder der in Deutschland verbotenen Milli Görűs (Nationale Vision)-Bewegung.

Es ist nicht zu űbersehen, dass die gegenwärtige Regierung der Tűrkei tiefe Wurzeln in verschiedenen Da’was hat. Sie agiert in deren Sinne, so als ob Fethullah Gűlen im fernen Pennsylvania Marionetten tanzen liesse. Jede Woche illustrieren neue Nachrichten den schrittweisen Umbau der Tűrkei in einen religiös dominierten Staat.

Kritische Presse

  • Da heisst es beispielsweise, dass 44 Prozent des staatlichen Schuletats an die wenigen Imam-Hatip-Schulen, die religiösen Imam-Seminare, verteilt werde, die nicht wissen, wohin mit dem vielen Geld, während es den staatlichen Schulen an Brennmaterial gegen die Winterkälte mangelt, wie die Zeitung Cumhuriyet berichtet.

  • An einem anderen Tag wird bemängelt, dass die AKP-Regierung die verfassunggebende Kommission abschottet und die neue Verfassung nicht zur Diskussion stellen will. Die Zeitung Gűnes behauptet, der Vorsitzende der Kommission und Berater des Premierministers gehöre zu den Männern in der Kommission, die einer Frau nicht die Hand geben, weil das eine Sűnde sei.

  • Dann wieder heisst es, die Regierung wolle das Kurdenproblem mit religiöser Űberzeugungsarbeit im Rahmen der moslemischen Brűderlichkeit lösen, den Kurden also die Freiheit geben, den Koran auf kurdisch zu lesen.

  • Eine neue Initiative des Ministerpräsidenten Erdogan, einen Fernsehsender zu starten, der in arabisch, persisch und — man staune – kurdisch senden soll, wurde direkt bei Fethullah Gűlen in Auftrag gegeben, meldet die ihm nahestehende Zeitung Bugun. Aufgabe des Senders sei es, den Nachbarländern die Bedeutung der regionalen Fűhrungsmacht Tűrkei nahe zu bringen.

  • Premier Erdogans Schwiegersohn ist der Chef der Calik Holding, einer regierungsnahen Finanzgruppe, die kűrzlich die zweitgrösste tűrkische Mediengruppe Sabah/ATV kaufte, zu der die in Izmir erscheinende Zeitung Yeni Asir gehört. Nach dem Verkauf verschwand das Atatűrk-Logo vom Titel der Zeitung, den es viele Jahre geziert hatte. Als die regierungskritische Hűrriyetdarűber berichtete, gab es einen Skandal, und das Logo erschien nach wenigen Tagen wieder am alten Platz.

  • Omar Sener, der Mufti von Mudumu in Bolu erklärte in einer Freitagspredigt, dass ein Handkuss bei einer Person, die mit dem Kűssenden verheiratet werden könnte, eine Sűnde sei, denn diese Geste könnte bereits Eheschliessung bedeuten. Der Prophet hätte nie eine Hand gekűsst, erläuterte er. Ein zufällig anwesender, kemalistischer Abgeordneter erstattete Strafanzeige gegen den Mufti.

  • Die laizistische Tageszeitung Cumhuriyet berichtete am 18. Dezember űber die schnelle Ausbreitung eines islamistischen Lebensstils in der Tűrkei durch islamistische Feriendörfer, nach Geschlechtern getrennte Hotels, islamistische Mode und Spielzeug, islamische Autos (mit Kompass, der die Richtung nach Mekka anzeigt), nach Geschlecht getrennte Autobusse, Alkoholverbot und Gebetsräume in Flughäfen, und schliesslich neue Wohnprojekte im islamischen Lebensstil. Cemal Gokce, ein hoher Funktionär der Tűrkischen Kammer der Bauingenieure kommentierte, dass die Regierung die Islamisierung guter Wohnviertel durch arabisches Kapital als willkommene Auslandsinvestitionen deklariere.

  • Nachdem der neue Präsident des Amtes fűr Höhere Bildung, Professor Yusuf Ziya Ozcan, erklärt hatte, dass Urteile des Höchsten Gerichts hinsichtlich des Kopftuchverbots an Universitäten nicht unbedingt befolgt werden műssten, sieht man mehr und mehr Kopftuchträgerinnen an der Cukurova-Universität. Mehrere Mitglieder des Lehrkörpers warnten, dies bedeute Gesetzesbruch, wie Cumhuriyet berichtete.

  • Anfang Januar 2008 erlaubte die Regierung den Auslandstűrken die Briefwahl. Da die Mehrheit der 4,8 Millionen Auslandstűrken fromme, konservative Moslems aus dem Osten Anatoliens sind, rechnet man in Ankara mit einem starken Stimmenzuwachs fűr die regierende AK-Partei.

Eine neue Verfassung

Noch besitzt die Tűrkei eine freie und mutige Presse. Noch gibt es Zeitgenossen, die sich nicht scheuen, ihre Meinung offen zu sagen. Man muss hoffen, dass die neue Verfassung solche bűrgerlichen Rechte beibehalten wird.

Man sollte aber nicht vergessen, dass die heutige islamische Regierung in freier und geheimer Wahl von den Tűrken im Amt bestätigt wurde. Wenn also die Tűrkei in Richtung Orient abdriftet, sich dem Iran und den arabischen Staaten nähert, dann muss man das als eine freie Entscheidung akzeptieren. Vielleicht ist die Epoche der laizistischen Tűrkei Atatűrks endgűltig vorbei. Demokratie gilt auch, wenn es dem Westen nicht passt.

 

 

   Ebenfalls 2008 befasst sich die Deutsche Rundschau aus der Perspektive des Vatikans mit der Konkurrenz zwischen den Religionen:

In der politischen Praxis werden dutzende islamischer Länder gegenwärtig von großteils korrupten und gewalttätigen, aber laizistischen, Regimes beherrscht. Hauptopposition in diesen Ländern sind unterschiedliche Schattierungen von islamistischen Sekten, Gruppen und Parteien, die mit Wahrscheinlichkeit die Wahlen gewinnen wűrden, wenn es denn freie Wahlen gäbe. Dabei ist es egal, ob die Islamisten so stark geworden sind, weil das Regime diktatorisch ist, oder umgekehrt.

Von Rom aus betrachtet, ist die Schwäche der jetzigen laizistischen Regimes ein Damoklesschwert. Stűrzen diese Regierungen und etablieren sich islamistische Systeme nach Vorbild des Iran, so werden nicht nur die lokalen Christen verfolgt — wie etwa die Chaldäer im Irak — sondern die antichristlichen Gruppen der zweiten und dritten Kategorie erhalten staatliche Unterstűtzung und werden verstärkt auf Europa und andere christliche Gebiete losgelassen.

Was das bedeutet, erfuhr unlängst Deutschland bei dem Besuch des tűrkischen Premiers Recep Tayyip Erdogan im Februar 2008. Sein wichtigster religiöser und politischer Mentor, der Sektenfűhrer Fethullah Gűlen, träumt von einem großtűrkischen Reich vom Rhein bis nach Sinkiang und fordert die Einrichtung weiterer tűrkischer Schulen in Ländern ausserhalb der Tűrkei. Einhundert solche Schulen hat er bereits gegrűndet, vor allem in Zentralasien, aber auch in Ländern so fern wie Kanada und Australien. Nun möchte Gűlen Schulen auch in Deutschland errichten, und an Geld dafűr fehlt es dem Milliardär nicht.

Erdogan forderte bei seinem Besuch denn auch brav tűrkische Schulen in Deutschland und wetterte gegen kulturelle (und religiöse) Assimilation als „Verbrechen gegen die Menschlichkeit“. Wie sehr die Großtűrken Deutschland bereits in ihre Welt einbezogen haben, erkennt man, wenn Nachrichten űber Tűrken in Deutschland in der tűrkischen Presse gelegentlich in der Rubrik „Inland“ erscheinen.

Die Tűrkei muss dem Vatikan als ein mahnendes Beispiel dienen, wie leicht islamistische Parteien die Macht erringen, wenn sie an freien Wahlen teilnehmen dűrfen und sich als Demokraten geben. Motor der Entwicklung sind die islamischen Geheimgesellschaften, die oft gar nicht sonderlich geheim sind. Sie kommen in unterschiedlichsten Formen vor, von den hochorganisierten ägyptischen Moslembrűdern bis zur turntoislam.com Webseite.

 

 

   Ein gefühlvolles Interview mit Fethullah Gülen brachte die Süddeutsche Zeitung 2010   ("Der Vorbeter", SZ 26/27.06.10) aus der Feder eines seiner Schűler, Timofey Neshitov. Die Deutsche Rundschau kommentierte:

Von allen Islamisten ist Gűlen sicherlich der modernste. Er predigt den Anschluss der Tűrkei an Europa, den wirtschaftlichen und technischen Fortschritt und sicherlich auch ein gewisses Mass an Koexistenz mit anderen Religionen und Lebensformen.

Aber Gűlen deswegen vom Verdacht islamistischer Aktivitäten freizusprechen, scheint mehr als mutig.

Der Interviewer meint, dass die Anschuldigungen wegen umstűrzlerischer Predigten, die Gegenstand eines Hochverratsprozesses gegen Gűlen waren, einer Ueberprűfung nicht standhielten und Gűlen deswegen freigesprochen werden musste. Was Neshitov nicht erwähnt, ist die Tatsache, dass den Prozess 2008 sein Ende ereilte, als Gűlens Schűler Tayyip Erdogan fest als Premierminister etabliert war.

Dass der im amerikanischen Exil lebende Hoxaefendi auch nach Aufhebung des Haftbefehls nicht in die Tűrkei zurűckkehrt, mag gesundheitliche ebenso wie legale Grűnde haben.

Warum sich ausgerechnet die Sűddeutsche so fűr einen umstrittenen Islamprediger ins Zeug legt, ist schwer zu verstehen.

 

 

    Um 2012 schrieb die Deutsche Rundschau:

 In order to prevent the Salafists from absorbing too much power, the majority party itself is forced to move toward the extreme in order to more effectively compete with the Salafists.

A textbook case of this development is currently offered by Turkey. The government of Recep Tayyip Erdogan started out with a moderate, pluralistic and vigorously pro-European attitude. Erdogan even tried to bring the restive Kurds back into the Turkish mainstream.

Under constant pressure from the powerful Islamist movement of Fethullah Gülen whose disciples make up a large share, if not the majority, of the members of Erdogan's Development and Justice Party AKP, Erdogan himself and his government slowly moved in radical directions.

Pluralism gave way to Islamic traditionalism and Ottoman style hegemonism. Critics and journalists were persecuted and, if possible, jailed. The pro-European drive has all but petered out. The Gülen movement can praise itself as a pillar and change agent of modern Turkey. The Gülen newspaper Zaman, one of the media owned by the movement, is considered close to the government.

Turkey experienced some seventy years of secular governments before the religious backlash of the AKP came. There are many reasons for this change, one being the abysmally low levels of education, especially of women.

Poor education favors resistance to change, especially if it comes in the shape of a revolution from above.

--ed

 

The world media are currently flush with stories speculating about Mr Trump’s intentions. Some are even suggesting that he has no agenda at all, no real policy except becoming America’s greatest president in human memory. Be it as it may, the men with whom he is surrounding himself seem to have a common agenda: To Make America White Again. His chief strategist Stephen K. Bannon  revealed the intrinsic objective of the Trump presidency, saying on CNN: “If (the Trump White House delivers), we'll get 60 percent of the white vote, and 40 percent of the black and Hispanic vote and we'll govern for 50 years”.

 

    The Whitelash vote which carried Mr Trump to the White House was as unique as it was unexpected. It opened a four year window to the Trump crowd during which the fragile Whitelash majority can be strengthened or lost. Given Mr Trump’s temper it will be difficult for the White House to “deliver” what is needed to gain the desired 50-year rule or at least another four year term for Mr Trump. The cabinet is therefore faced with two principal challenges: vigorous pursuit of the 50-year objective while controlling the future President’s temper.

   When Mr Bannon spoke of the “black and Hispanic vote” he obviously referred to those Hispanics who are firmly rooted in the U.S. and resent the influx of new wetback migrants; the kind of Hispanics who, to Mrs Clinton’s surprise, voted for Trump. The same can be said of Blacks: many regret losing their rank as the oldest and strongest minority to the multiplying Hispanics. Trump is their champion because he promised to deport a few million illegals and to reduce immigration.

   Even with the support of some Blacks and Hispanics, the Trump majority remains razor thin. The 1.5 million more votes that Mrs Clinton garnered are every day reminding the Trump crowd how much successful action is needed to create a majority strong enough to carry Trumpism to another four year term and beyond. He objective of bolstering the Trump majority requires a set of activities which are self-evident:

  • Reduce immigration of Hispanics and Asians, legal and illegal.
  • Deport criminal aliens.
  • Reduce naturalizations of Hispanics, Asians and Africans by raising requirements in order to limit the number of new citizens with (potentially hostile) voting power.
  • Facilitate immigration of Whites.
  • Prevent further outsourcing of labor intensive industries and encourage repatriation of industries to please blue-collar Whites. 
  • Encourage infrastructure and industrial repatriation investment, thus creating employment, financial opportunities and a base for future domestic growth.
  • Strengthen the role of the military in research and development, providing spin-offs for industry as well as jobs and training for poor citizens.

   Wall Street does not seem to mind the deleterious effects of industrial repatriation and the canceling of multilateral trade agreements like TPP and TTIP. Is it the prospect of debt-financed infrastructure investments which buoys Wall Street? More likely, big finance is simply responding to the promise of relaxed banking regulations and removal of environmental restrictions on industry.

   When trying to explore the mindset of the budding Trump cabinet it is useful to  take a look at its sombre side. The Alt-Right movement is known for its penchant for certain conspiracy theories. Two media of the extreme right are championing this field and both have repeatedly been referred to during Trump’s campaign: Alex Jones’ Infowars and World Net Daily (WND).

   The theory of the FEMA camps surfaced during the second term of G.W. Bush. The idea was that the Bush Administration had under the umbrella of the Federal Emergency Management Agency  (FEMA) established hundreds of secret prison camps throughout the nation where in case of an insurrection millions could be locked up: leftists, liberals, trade unionists, journalists, gun control proponents, muslims etc.

   When the Democrats won the 2008 elections, the picture changed. Especially after the 2012 elections, President Obama became the secret warden of the "FEMA camps". The camp theorists became so powerful among the right wing electorate that many people voted for Trump out of fear of being carried off by Obama to the camps with their one-direction turnstiles. Some even migrated to Central America, according to Newsweek, to avoid the impending incarceration they reckoned with. Rumor mongers are still telling their audiences, “President Barack Obama soon will institute martial law and cancel or nullify the election... after which his FEMA will disarm and herd all the anti-abortion, religious-right, gun-owning, home-schooling folks into secret “FEMA camps” that his administration has spent years preparing”, Newsweek says.

   Very soon, Donald Trump’s administration will enjoy its turn in being suspected of maintaining the so-called FEMA camps. The operators change, the myth persists. However, a note of caution is appropriate: The Trump team is not the sequel to the H.W. Bush team. The latter read the Weekly Standard as their main source of inspiration. The Trump crowd, having for years read Breitbart, Infowars, WND and listened to scare-mongering radio hosts, may have been sufficiently brainwashed to consider unconventional interpretations of American democracy a viable alternative. 

John Wantock

 

   Deutschlands Aussenminister Frank-Walter Steinmeier musste sich in Ankara von seinem türkischen Kollegen Mevlüt Çavuşoğlu beschimpfen lassen. Was Çavuşoğlu vorbrachte, sind bekannte und ein paar neue Vorwürfe, ihr Inhalt ist unerheblich. Das Problem sind nicht die Vorwürfe, sondern dass Steinmeier sich einer solchen Tirade ausgesetzt hat. Warum reiste er überhaupt nach Ankara?

   Er vertritt eine Politik gegenüber Ankara, die mit anderen europäischen Würdenträgern abgestimmt ist. Jean-Claude Juncker und Martin Schulz meinen, man müsse das Gespräch über einen EU-Beitritt der Türkei trotz der jüngsten Ereignisse weiterführen, um ein Instrument zu behalten, mit dem man mässigend auf Präsident Erdoğan einwirken könne. Man sei das den mehr als 36.000 Verhafteten, den 100.000 Entlassenen, den misshandelten Medien und ihren Journalisten schuldig. Ausserdem müsse das für Europa so wichtige Migranten-Rückführungsabkommen geschützt werden.

  Man muss damit rechnen, dass weitere europäische Würdenträger in ähnlicher Mission wie Steinmeier nach Ankara reisen werden. Dabei wäre das Steinmeier-Debakel ein Grund, die gegenwärtige Politik der EU zu überdenken. Wem nützt sie, wem schadet sie? Österreichs Aussenminister Sebastian Kurz hält diese Politik bekanntlich für falsch: er fordert den Abbruch der Gespräche über einen Türkei-Beitritt und generell eine harte Haltung gegenüber Ankara. Wer hat recht: Brüssel/Berlin oder Wien?

   Betrachten wir die Lage in der Türkei: die Islamisten haben sich gespalten. Eine Sekte, die Erdoganci, hat nach einem misslungenen Militärputsch beschlossen, ihre (wohl teilweise schuldigen) einstigen Weggefährten, die Gülenci, zu beseitigen. Und da man schon am Aufräumen ist, räumt man auch noch alle anderen möglichen Oppositionellen weg, von Kurden über Laizisten zu Demokraten, Journalisten und Juristen. Dabei ergibt sich eine Art Arisierungseffekt: das Eigentum der mutmasslich oder angeblich oppositionellen Unternehmer wird konfisziert. Laut offiziellen Angaben wurden bisher 527 Unternehmen beschlagnahmt und der Finanzkasse umgerechnet rund 4 Milliarden Dollar zugeführt. Die Ziffern dürften steigen, denn viele Firmen stehen unter Zwangsverwaltung, was gewöhnlich die Vorstufe der Enteignung ist.

   Das Ausland ist verwundert, kritisiert, protestiert. Doch was ändert das? In Ankara ist ein eingeschworenes Team – dem Aussenminister Çavuşoğlu als Gründungsmitglied der Regierungspartei AKP angehört – dabei, einen Gottesstaat sunnitischer Art zu errichten, getragen von Millionen wenig gebildeter aber frommer Landbewohner. Niemand darf die Verwirklichung des Traums der Moslembrüder behindern, schon garnicht irgendwelche Vertreter des christlichen Auslands. Çavuşoğlu hat einmal persönlich gezeigt, wie er die Demokratie versteht:

Die Zeitung Hürriyet kritisierte Cavusoglus persönliche Intervention bei einer Kommunalwahl in (seinem Wahlkreis) Antalya am 30. März 1014. Als sich ergab, dass der Kandidat der Opposition, Mustafa Akaydin, bei der Auszählung vor dem Kandidaten der Regierungspartei AKP lag, besuchte Cavusoglu mit seinen Unterstützern das Gerichtsgebäude und unterbrach die Auszählung. Nach dieser Unterbrechung wurde die Zählung beendet. Es wurde gesagt, die noch nicht gezählten Stimmen stammten aus Vororten, wo die Oppositionspartei mehr Unterstützer habe.“ (Wikipedia)

   Wenn der Bericht stimmt, ist Steinmeier zu bedauern, dass er sich mit einem Kollegen dieser Art auseinandersetzen musste.

   Nachdem erwiesen ist, dass Missionen wie die des deutschen Aussenministers nicht nur nutzlos sind, sondern Ankara die Gelegenheit geben, üble Beschuldigungen über den Besucher und das Land zu äussern, das er vertritt, muss man sich fragen, ob Österreich nicht Recht hat, eine härtere Gangart zu wählen. Europa sollte sich von dem Migranten-Abkommen lösen, denn die Islamisten in Ankara werden es früher oder später sowieso kündigen, weil die EU ihren Forderungen nicht nachgeben kann und wird. Forderungen wie die von Çavuşoğlu angetönte, Deutschland solle die angeblichen PKK-Anhänger und Gülenci an die Türkei ausliefern.

  Fazit:  Mit religiösen Fanatikern zu argumentieren ist vergeblich. Sie verfolgen ihren Weg, unbeirrbar, unerreichbar. 

-- ed

 

Çavuşoğlus Aussagen auf Twitter zu dem Treffen mit Steinmeier:

We are concerned about xenophobia and violent acts threatening our citizens in Germany. Necessary measures must be taken.

Underlined again in our meeting that Readmission Agreement and visa liberalisation are interrelated.

 

Update

Gülen-Medien berichten, dass schwere Waffen in Gefängnisse transportiert würden, in denen Gülenci einsitzen. Zitierte Stimmen befürchten, dass das Regime Gefängnis-Aufstände provozieren könnte als Vorwand, um die inhaftierten Gülenci töten zu können. 

 

Update II

Erdoğan’s fifth column in Europe